Welfare aziendale, una realtà dal valore potenziale di 21 miliardi di euro
Il 1° Rapporto Censis-Eudaimon fotografa lo stato del welfare aziendale in Italia, con un focus sul livello di conoscenza e di gradimento dei lavoratori e sulle prestazioni più desiderate
In pochi sanno cosa sia il welfare aziendale, ma chi lo conosce ne apprezza i vantaggi. E da realtà ancora tutt’altro che affermata in Italia, il sistema di benefit e di servizi offerti ai dipendenti potrebbe affermarsi come pilastro aggiuntivo del più generale sistema di welfare pubblico, contribuendo in modo rilevante al benessere dei lavoratori.
A far luce sullo stato attuale e sulle potenzialità di crescita del settore è il Censis, che in collaborazione con Eudaimon ha realizzato il 1° Rapporto sul welfare aziendale in Italia. Uno studio che ha stimato in 21 miliardi di euro (vale a dire quasi una mensilità di stipendio in più all’anno per lavoratore) il valore dei servizi e delle prestazioni offerte dalle aziende, se estese a tutti i dipendenti del settore privato.
Poca informazione
La ricerca ha, inoltre, preso in considerazione il livello di conoscenza e di apprezzamento tra i lavoratori e le prestazioni più gradite. Ciò che emerge, innanzitutto, è la scarsa informazione sul tema: solo il 17,9% sa precisamente cosa sia il welfare aziendale, mentre il 58,5% lo conosce solo per grandi linee e il 23,6% non sa di cosa si tratti. Ad avere poca familiarità con questo strumento sono soprattutto i dipendenti con un basso livello di scolarità, con redditi bassi, i genitori single e gli occupati con mansioni manuali.
A perfetto complemento di questo dato c’è quello sul gradimento: se, in generale, il 58,7% dei lavoratori si è dichiarato favorevole a trasformare quote premiali della retribuzione in prestazioni di welfare, i più bendisposti sono risultati essere i dirigenti e i quadri (73,6%), i lavoratori con figli fino a 3 anni (68,2%), i laureati (63,5%) e quelli con redditi familiari medio-alti. Viceversa più scettici sono gli operai e i lavoratori con redditi bassi (46,9%), con il 41,3% degli operai che ritiene più importante avere soldi aggiuntivi in busta paga piuttosto che soluzioni di welfare.
In altre parole, la propensione a questo strumento è direttamente correlata al reddito percepito: più è basso, minore è l’apertura alle prestazioni integrative. Una riluttanza che si spiega con la “fame” arretrata di reddito di una fascia di lavoratori che vive in condizioni di sempre maggiore difficoltà economica (+178% di famiglie operaie in condizione di povertà assoluta tra il 2008 e il 2016). Ma, sottolinea il Censis, il welfare aziendale “è uno strumento di integrazione dei redditi e non può e non deve essere sostitutivo degli incrementi retributivi”. Altrimenti nel medio periodo rischia “l’effetto paradossale di favorire di più i lavoratori con redditi alti e non quelli con redditi più bassi e con maggiori fabbisogni sociali”.
I servizi più richiesti
Tra le prestazioni più desiderate dai lavoratori figurano ai primi posti l’assicurazione sanitaria (53,8% degli occupati), la previdenza integrativa (33,3%) e i buoni pasto o la mensa aziendale (31,5%). La presenza di figli minori in famiglia porta, invece, ad apprezzare di più le prestazioni per l’infanzia e i servizi rivolti alla genitorialità (asilo nido, centri vacanze, rimborsi per le spese scolastiche dei figli) nella convinzione che il welfare aziendale possa colmare i buchi del sistema di welfare pubblico.