Visione ampia e saggezza, il leader del futuro è “wise”
Nello scenario attuale di grande trasformazione e di emergenza il ruolo dei leader è centrale, le competenze soft sono sempre più determinanti e la formazione deve fare un salto di qualità ma “i fondamentali si imparano all’asilo”. Colloquio con Irene Vecchione, Amministratrice Delegata di Tack Tmi Italy, il brand di Gi Group per il Learning & Development.
Viviamo in uno scenario di costante cambiamento, poco stabile, volatile. Vuca, se preferite. La condizione di emergenza dell’ultimo periodo non ha migliorato la situazione, e in questo scenario il leader assume un ruolo cruciale. Ma anche il modo di esercitare la leadership cambia, è il momento dei wise leader. Ne abbiamo parlato con Irene Vecchione, Amministratrice Delegata di Tack Tmi Italy, il brand di Learning & Development di Gi Group, la prima multinazionale italiana del lavoro.
Viviamo in fase di grande trasformazione, in cui sembrano dominare tecnologia, algoritmi e intelligenza artificiale. La domanda per chi si occupa di risorse umane è: quanto conta ancora il fattore umano?
Nel contesto di rapida evoluzione tecnologica che stiamo vivendo e nello scenario attuale, che è stato definito Vuca (volatile, incerto, complesso, ambiguo, ndr.), il fattore umano resta centrale perchè è l’uomo che tiene le fila dell’evoluzione tecnologica e la determina. Ma la cosa che più mi colpisce è che l’unione uomo-macchina amplifica il “potere” del primo: non comandano le macchine e non comprendo i timori sulla robotizzazione o su Industria 4.0, perchè prevalgono le opportunità. Piuttosto, bisogna porsi un tema di nuove competenze e nuovo apprendimento. Non dobbiamo pensare alla sostituzione dell’uomo con la macchina, perché il futuro è in realtà l’ibridazione, ovvero la coesistenza dell’uomo e della macchina che, anche senza arrivare al transumanesimo, può rappresentare dei grandi vantaggi per affrontare le sfide attuali e future. Studi che hanno confrontato le prestazioni nella diagnosi del cancro dai campioni di tessuto (come quello della Harvard Medical School pubblicato a giugno 2016 e un altro condotto da ricercatori di Google AI Health pubblicato a ottobre 2018) hanno dimostrato che quando gli umani competono con gli algoritmi, il team che fornisce costantemente le diagnosi più accurate sono gli umani insieme agli algoritmi, che superano gli algoritmi da soli e gli umani da soli.
Un altro esempio, più alla portata di tutti, è quello dei controlli grammaticali e ortografici che aiutano a migliorare la nostra scrittura. In genere, il correttore automatico fa un ottimo lavoro nell’individuare molti dei nostri errori di battitura e grammaticali (veri positivi), ma di tanto in tanto, il correttore contrassegnerà qualcosa come errato (falso positivo) o darà un suggerimento grammaticale con cui non sei d’accordo. In questi casi, si finisce per ignorare il correttore. Il risultato finale, attraverso questo processo push-and-pull, challenge-and-override, è scrivere meglio di quanto entrambe le parti avrebbero potuto scrivere da sole. La macchina è importante, l’uomo ancora di più: l’unione crea un valore maggiore della somma dei singoli. Come dicevo prima, il tema si sposta sulle competenze che dobbiamo sviluppare per essere adeguati in questo contesto: noi dobbiamo ri-apprendere a fare delle cose in modo diverso e le soft skill che sono proprie dell’uomo sono e saranno sempre più centrali e sono necessarie per gestire la trasformazione tecnologica. La macchina non potrà mai acquisire competenze di questo tipo che, da anni, sono nella top ten delle skill più richieste dal mercato.
Quali sono i rischi che la società, dal punto di vista economico e lavorativo, corre in uno scenario complesso e cosa bisognerebbe fare per evitarli? Come ci si deve attrezzare?
La leadership è centrale. In questa fase vanno prese decisioni che non siano solo “verticali” ma che siano coerenti con una visione ampia di contesto. Un buon leader è quello capace di avere uno sguardo largo in grado di orientare le decisioni. Anche in questo periodo di emergenza da coronavirus, in cui dobbiamo avere la capacità di gestire l’emergenza, di trovare rapide soluzioni per non far collassare i business, risolvere problemi, tenere assieme le persone che possono non sentirsi disorientate e disingaggiate. Chi guida la nave deve essere una persona capace, solida e equilibrata.
Serve un wise leader…
Assolutamente sì. Sia in questa fase contingente, sia in generale.
Chi è il wise leader?
C’è uno studio che dice che il QI umano cresce generazione dopo generazione. Se tutto si potesse risolvere con l’intelligenza tout-court, non ci sarebbero problemi. Ma non basta, perchè serve esperienza, saggezza pratica, visione ampia, conoscenza del contesto in cui si vive. I leader saggi sono intelligenti, ma sanno come modulare la propria intelligenza in contesti diversi e si sforzano di applicarla per servire uno scopo più grande. Possiedono grande consapevolezza di sé, percepiscono il mondo da una prospettiva più ampia, decidono con discernimento e agiscono con grande umiltà e chiarezza etica.
Queste riflessioni non devono portarci a pensare che il leader sia chiamato ad abbandonare i propri interessi, questo non sarebbe verosimile. Il leader saggio persegue un interesse personale illuminato: non si chiede “quale vantaggio posso trarre da questa situazione”, ma “quale vantaggio possiamo trarre tutti”, contribuendo così al bene comune e, di conseguenza, traendo vantaggio per sé stesso e per la propria organizzazione. Si tratta di un vero e proprio – e per niente automatico – mindset shift.
Ne vede in giro di leader di questo tipo?
Sì, ce ne sono. Non nego che ci siano ancora stili di leadership vecchio stampo ma da almeno una decina di anni a questa parte vedo crescere leader wise e l’orientamento delle imprese verso figure di questo tipo, anche se a volte in maniera strumentale perché “va di moda”. Deve essere chiaro, invece, che un approccio di questo tipo è fondamentale per il business dell’organizzazione. Anche noi, nel nostro piccolo, ci siamo sforzati di essere wise: abbiamo un modello di leadership ispirato ad una teoria chiamata Dreams&Details che ci ha portato a riflettere sul nostro contributo alla comunità. Abbiamo indirizzato la nostra attività, il nostro business e lo sviluppo di prodotti sul creare le condizioni per offrire un’esperienza formativa utile, piacevole, ingaggiante e efficace.
Perchè questa scelta?
L’obiettivo di Tack Tmi è che le persone che partecipano a un nostro percorso o programma formativo abbiano un vantaggio effettivo. Noi ci rivolgiamo prevalentemente ai dipendenti delle imprese e abbiamo l’obiettivo di essere utili alle aziende e alle persone, anche oltre l’ambito strettamente del business aziendale. Se il vantaggio per le persone è evidente, se la formazione non è un’esperienza noiosa, ci sono partecipazione ed engagement. Il nostro sforzo è creare soluzioni enjoyable di durata adeguata ai tempi e alle tecnologie disponibili: non c’è bisogno di stare ore e ore in aula per molti giorni. Il collaboratore “felice” porta valore aggiunto ed energia positiva all’impresa. Fare formazione “tanto per” non è utile nè alla competitività dell’impresa nè all’employability della persona, che deve vedere nella formazione una sorta di assicurazione sul futuro. Questo è il punto di snodo che abbiamo identificato per far evolvere aziende e persone.
Un’ultima domanda, lei ha citato, in alcuni interventi, questa frase: “tutto quello che bisogna imparare, l’ho imparato all’asilo”. In che senso?
È il titolo di un libro di Robert Fulghum che lessi mentre mia figlia era all’asilo, mi colpì molto, e mi fece riflettere proprio su quei fondamentali che impariamo da piccoli e che ci saranno utili per tutto il resto della nostra vita: l’educazione, il rispetto per il prossimo, il fair play, imparare ad andare d’accordo con altre persone, chiedere scusa, l’empatia, la conoscenza e la gestione delle emozioni, che vuol dire capacità di relazionarsi con l’altro… è quello che diciamo nei nostri corsi di formazione. Pur ammettendo che le competenze tecniche sono essenziali, siamo tutti d’accordo sul fatto che una formazione di base ricca di quoziente emozionale, creatività, compassion, è il trampolino migliore per preparare le persone a un futuro ibrido. Penso a un mondo di medici che ascoltano il paziente e riescono a comprendere le sue emozioni, o di venditori che rispondono a bisogni concreti e aiutano a trovare soluzioni efficaci. Sono comportamenti che abbiamo imparato all’asilo e, se così non è stato, è urgente per le aziende dotare il proprio personale di queste conoscenze, competenze e capacità.