Vaccinazione in azienda, ecco come si muovono i datori di lavoro
Una ricerca di Aidp registra come si stanno strutturando le organizzazioni. Iacci: «Le aziende non possono essere lasciate sole».
Un manager su tre dichiara che lancerà una campagna di sensibilizzazione pro-vaccino nelle proprie aziende. È questo il dato che emerge da una ricerca effettuata da Aidp, l’Associazione italiana direzione del personale, nella quale sono stati coinvolti 404 manager sui temi aperti dall’emergenza sanitaria, come lo sblocco dei licenziamenti e la campagna vaccinale. Una domanda cruciale è quella relativa alle azioni che l’organizzazione intende intraprendere nel caso in cui un dipendente rifiuti la vaccinazione. Circa il 40% di quelle interpellate ha risposto di non averci ancora pensato, considerato anche il ritardo della campagna vaccinale; una buona parte di organizzazioni (quasi il 37%) ha dichiarato che di certo verrà implementata la comunicazione per promuovere la vaccinazione; solo il 2,7% ha riferito di avere allo studio la possibilità del licenziamento. Che risulta essere un grosso nodo, dato che – come anche spiegato in una recente intervista al giuslavorista Lorenzo Cairo – non sussisterebbero, a oggi, le condizioni per farlo, visto che il vaccino non è obbligatorio.
La questione resta oltremodo spinosa, come spiega Paolo Iacci, manager d’impresa e psicologo del lavoro, attualmente presidente di Eca Italia e di Aidp Promotion: «Il punto che nessuno affronta è che in realtà, per via della legge sulla privacy, l’azienda non dovrebbe neanche sapere chi è vaccinato e chi no. Il dibattito sulla possibilità o meno di licenziare una persona che non si vuole vaccinare è più teorico che reale, in assenza di una legge che disponga, almeno per categorie specifiche di dipendenti, l’obbligatorietà». In passato, ricorda Iacci, il legislatore è intervenuto a favore dell’obbligatorietà della vaccinazione antipolio, non essendo disponibile una cura.
Il presidente di Aidp Promotion sottolinea inoltre un punto: «Non si possono lasciare le aziende sole davanti al problema, se di fatto esse stesse non sono autorizzate a fare accertamenti sulla vaccinazione». Le complicazioni sono innumerevoli, così come e le contraddizioni, visto che alle aziende viene chiesto di garantire i massimi livelli di sicurezza. «Pensiamo a chi fa ristorazione collettiva per Rsa o ospedali – aggiunge Iacci – Le aziende non possono appurare se il personale sia o meno vaccinato e, d’altro canto, anche se lo fossero, non possono essere lasciate sole nel perseguire tutte le azioni necessarie a garantire la sicurezza». Una delle ipotesi su cui i giuslavoristi stanno ragionando è quella dell’eventuale spostamento dell’interessato ad altro posto di lavoro. Ma se questa possibilità non esiste? «In alcuni casi la risposta potrebbe essere la Cig, ma verrebbe a mancare l’equità del trattamento nei confronti degli altri dipendenti». Insomma, in assenza di una legge, di fatto si rimanda alla buona volontà delle aziende e alla loro interpretazione delle diverse situazioni.
In questo interregno di vuoto legislativo le aziende procedono, nei limiti del possibile, a dar corso a una campagna di comunicazione sulla vaccinazione, auspicando anche che – a fronte di una buona informazione e con l’opportunità di essere vaccinati in azienda – i dipendenti aderiscano. «È importante il lavoro che stanno facendo le parti sociali in questo senso – fa sapere Iacci – dando corso a un accordo che si muove in questa direzione».