Universo OKR

Gli OKR, dall’inglese Objectives and Key Results, sono un framework mirato all’allineamento sugli obiettivi e i risultati da raggiungere. Adottati in primo luogo nella Silicon Valley, per Francesco Frugiuele e Matteo Sola – autori di “OKR Performance” – possono costituire una chiave di volta nell’organizzazione interna. Abbiamo intervistato i due autori per chiarire metodi di utilizzo e implicazioni.

OKR

Okr: objestives and key results, ovvero una nuova modalità di lavoro che procede per obiettivi aziendali misurabili e condivisi da tutti, in netta opposizione al metodo tradizionale di valutazione delle performance. Abbiamo cercato di scoprire qualcosa di più sul funzionamento degli “Obiettivi e risultati-chiave” e perché potrebbe essere utile applicarli in azienda intervistando due esperti in materia, co-autori del libro “Okr Performance”, unico libro italiano sull’argomento: Francesco Frugiuele, 25 anni di esperienza manageriale come Ceo & executive in imprese e start-up di respiro internazionale, oggi founder di Kopernicana, società di consulenza in ambito di trasformazione organizzativa e new way of working, e Matteo Sola, Hr manager ed esperto di digital Hr transformation, partner di Kopernicana nonché creatore del primo master italiano in digital Hr e dal 2020 Hr learning & development leader di Iliad, solo per citare alcune tappe del suo ricco curriculum.

Partiamo proprio dall’Abc: ci spiegate cosa sono gli Okr?

Francesco: «Si tratta di uno strumento di allineamento dell’azienda a determinati obiettivi, fissati per perseguire la linea strategica precedentemente individuata. Il metodo Okr è stato elaborato negli Anni 80 dall’Ad di Intel, Andy Grove, che si è ispirato al metodo Mbo (management by objectives) di Peter Drucker, che valuta la persona in base a quanto produce. Il termine Okr è però stato coniato da un altro dipendente Intel, John Doerr, un commerciale che diventa poi venture capitalist e nel 1998 investe in una piccola start-up, Google, dove introduce il framework Okr facendola diventare il colosso che oggi tutti conosciamo. Proprio grazie al metodo Okr Intel è riuscita a battere Motorola nel campo dei microprocessori: in questo caso l’obiettivo comune che tutta l’azienda doveva perseguire era “kill Motorola”».

Matteo: «YouTube è un altro esempio di un’azienda che è riuscita a tirarsi su da un periodo di crisi proprio individuando una serie di obiettivi comuni e condividendoli con tutti i dipendenti. Oggi gli Okr sono diventati un metodo di riferimento anche in Europa e in aziende non appartenenti al mondo digital: per questo motivo abbiamo sentito la necessità di scrivere un libro sull’argomento che non fosse la mera traduzione di un’opera americana, ma che fosse invece proprio pensato per il mercato italiano e cucito se misura sulle sue caratteristiche».

Possiamo considerare gli Okr anche in ottica premiante?

Matteo: «Il framework nasce come sistema per gestire e distribuire la strategia in azienda e allineare le persone; poi è diventato “di moda” nelle risorse umane venendo tuttavia anche frainteso – a volte – e preso come nuova modalità per scrivere gli obiettivi sulla base dei quali premiare e valutare le persone: deve invece essere chiaro che non si tratta di un metodo per premiare i dipendenti, tutt’altro, è business strategy e serve per ottimizzare le energie personali nell’ottica dell’azienda e per far capire ai team in che direzione stanno andando rispetto alle priorità strategiche. Infatti, legando gli obiettivi a un bonus, si rischia di perdere la loro funzionalità, che è la motivazione intrinseca delle persone poiché, per funzionare, gli Okr devono prevedere obiettivi ambiziosi, quasi irraggiungibili – il famoso mindset “10x”– : devo prendermi un rischio importante, che mi forzerà a usare il pensiero laterale e a scoprire nuove strade per arrivare al target. L’obiettivo sfidante può anche fallire e il fallimento viene visto in chiave positiva: ho il “diritto” di sbagliare perché l’importante è quello che imparo nel processo; se però gli Okr vengono legati al bonus economico di fine anno, visto che parte degli obiettivi vengono definiti dal basso, le persone tenderanno a rendere più facile l’obiettivo e questo è diametralmente opposto alla logica Okr».

Visti in quest’ottica, dunque, gli Okr non rischiano di “stressare” il team con obiettivi troppo ambiziosi?

Matteo: «No, perché l’obiettivo sfidante non genera stress purché ci si focalizzi su pochi obiettivi per volta e davvero chiari per tutti e strategici per l’azienda: oggi succede spesso il contrario in azienda, abbiamo troppe cose da fare, troppi obiettivi e spesso contrapposti e non allineati fra loro; con gli Okr invece ho pochi obiettivi ma chiari, che mi fanno capire subito cosa non è produttivo e non è strategico, ovvero, quello che non devo fare: quindi in realtà riducono lo stress e favoriscono il benessere dei singoli».

Ma come funziona, in concreto l’adozione degli Okr?

Francesco: «Volendo schematizzarla al massimo, possiamo dire che il Ceo – o il board o il management – decide la strategia, ovvero dove l’azienda vuole andare, come e perché; da questo punto di partenza si definiscono poi le priorità del trimestre – che possibilmente non devono essere più di tre – dopodiché, a cascata, ogni manager chiede ai propri riporti come i rispettivi team possono contribuire al raggiungimento di quelle priorità che, tra l’altro, vengono rese trasparenti e visibili a tutti. Ognuno quindi decide come contribuire e da lì si negozia: le proposte arrivano dal basso, ognuno si dà i propri obiettivi, poi ovviamente si aggiusta il tiro. L’elemento fondamentale, tuttavia, è la condivisione della strategia: deve essere chiara a tutti, in modo da orientare il lavoro di ognuno».

Matteo: «In aziende di grandi dimensioni vengono utilizzati dei software ad hoc; nelle più piccole basta anche un tabellone o un foglio di excel: condivisione e accessibilità, lo ripetiamo, sono fondamentali. Se scrivo bene gli Okr, ovvero se la mia grammatica contiene i dati giusti, posso misurare in maniera autonoma i passi avanti in qualsiasi momento, a differenza dei metodi tradizionali, che hanno momenti specifici di misurazione, spesso su base annuale o semestrale; la logica classica per gli Okr invece è il trimestre, anche se tutti i giorni posso capire in maniera istantanea se sto andando nella direzione giusta oppure no e vedere in modo trasparente anche a che punto sono gli altri team. Gli obiettivi principali sono qualitativi, ispirazionali, mentre i key result, ovvero gli indicatori di business sottostanti, che mi dicono come arrivare agli obiettivi, sono quantitativi».

Possiamo prendere in considerazione gli Okr anche in un’ottica di crescita personale, oltre che in chiave di strategia aziendale?

Matteo: «L’ottica individuale passa in secondo piano rispetto alla collaborazione fra le persone e la crescita del team intero. Tuttavia, recentemente gli Okr stanno riemergendo anche a livello individuale, ovvero vengono usati anche nella vita privata, per la crescita personale o per quella professionale».

Francesco: «In Italia gli Okr stanno davvero prendendo piede perché consentono di esplorare nuovi paradigmi di lavoro e spingono a un mindset organizzativo assolutamente inclusivo: se prima le persone vivevano l’esistenza in azienda in maniera alienante, totalmente scollegata dal resto della propria vita, ovvero con ordini, valutazioni e accesso solo a una certa quantità di informazioni strategiche – e a volte neppure a quelle – con modelli gerarchici rigidi, ora sappiamo che un altro modo di lavorare è possibile, complice anche lo smart working. Un modo dove non serve il controllo e che favorisce l’intelligenza collettiva, la proattività e l’engagement: tutti sanno cosa succede in azienda e tutti contribuiscono, non sono più poche persone a determinare cosa deve succedere e a detenere la visione globale della strategia aziendale. Inoltre, non essendo gli Okr strumenti di performance management, favoriscono la creazione di ritualità di team, che generano confronto tra le persone per affrontare i problemi e migliorare il lavoro».

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