Trump mette i dipendenti della DEIA in congedo retribuito: in Italia sarebbe possibile?
Il presidente Trump, appena insediato, ha messo in congedo retribuito i dipendenti federali degli uffici DEIA, decidendo di chiuderne le attività. Ma un simile provvedimento, nel pubblico e nel privato, sarebbe plausibile nel nostro Paese? Lo abbiamo chiesto all’avvocato Sergio Alberto Codella
Uno dei primi provvedimenti dell’amministrazione Trump è stato quello di porre forzatamente in congedo retribuito i lavoratori federali impiegati presso gli uffici DEIA (Diversità, Equità, Inclusione e Accessibilità) alla luce della decisione governativa di terminarne al più presto tutte le relative attività. Il neo presidente degli Stati Uniti ha infatti qualificato i programmi DEI come “discriminatori” sostenendo un ritorno a procedure di assunzione esclusivamente “meritocratiche”. Del resto, diverse importanti aziende statunitensi, tra cui Harley-Davidson, Nike, Google, avevano già ridimensionato le loro politiche DEI, a seguito di pressioni pubbliche.
La decisione di Trump ha creato molto scalpore ed è lecito chiedersi se una tale scelta sarebbe possibile anche nel nostro Paese. Come funziona il congedo retribuito in Italia? Ce ne parla l’avv. Sergio Alberto Codella, partner di Orsingher Ortu Avvocati Associati.
Il congedo retribuito in Italia
“Il sistema ordinamentale giuslavoristico del mondo statunitense è significativamente differente da quello italiano: gli strumenti di tutela del nostro Paese sono mediamente più forti per il lavoratore rispetto a quelli dell’area anglosassone” spiega l’avvocato Codella.
“Al riguardo, basti pensare – prosegue l’avvocato – che l’istituto stesso del ‘congedo’ per l’Italia è (quasi) sempre orientato a tutelare il prestatore, nel senso che il congedo retribuito dal lavoro è strutturato come una pausa che prevede il diritto alla conservazione del posto, solitamente richiesta dal dipendente per motivi personali o familiari, quali possono essere la tutela parentale o l’interesse a impegnarsi in percorsi di studio. Di solito la fonte di questi diritti si rinviene nella legge o nella contrattazione collettiva di riferimento”.
Quindi per un datore di lavoro italiano privato, ma ancor di più pubblico, la scelta di porre in congedo retribuito un dipendente – o addirittura interi uffici – appare essere di difficile implementazione soprattutto se, come nel caso che riguarda gli uffici della DEIA, è relativa a questioni ‘oggettive’ (e, quindi, di natura organizzativa).
In Italia, ci sono dei (rari) casi “in cui è il datore di lavoro a decidere di porre in congedo retribuito il dipendente”. È così, ad esempio, nell’ipotesi prevista “dal CCNL dei bancari, secondo cui può essere posto in aspettativa/congedo retribuito il dipendente sottoposto a procedimento penale e in attesa della sentenza definitiva” precisa l’avvocato Codella. Ma sono fattispecie legate più a questioni specifiche e soggettive, che a scelte produttive e di efficientamento.
In generale, quindi, l’istituto del congedo retribuito in Italia mal si concilierebbe con la decisione di chiudere – o meglio di avere intenzione di farlo in futuro – un ufficio o un dipartimento.
Gli strumenti di tutela
L’avv. Codella ci ha poi illustrato quale potrebbe essere la ‘soluzione’ in Italia nel caso in cui si decidesse di chiudere un ufficio, in particolare nell’ambito delle imprese private.
“Nel caso in cui si decida di ‘chiudere’ un’azienda o una parte di essa, perché non si ritiene che la sua attività possa essere ancora utile, vi sono vari strumenti di tutela che sono attivabili in Italia a seconda di diverse condizioni. In primo luogo – precisa l’avv. Codella – “si tenta in genere di attivare i c.d. ammortizzatori sociali previsti per situazioni critiche che possono essere in qualche modo considerate ‘temporanee’, quali ad esempio un progetto di riorganizzazione e/o ristrutturazione aziendale”.
Nei periodi di chiusura dell’azienda – utili anche a una sua riqualificazione – le Parti sociali tendono a collaborare per trovare accordi che, grazie all’intervento dello Stato, possano portare all’erogazione di sussidi a favore dei lavoratori che, quindi, sono “atecnicamente” posti in una sorta di congedo retribuito (in altri termini, in cassa integrazione).
Se gli strumenti di cassa integrazione non sono disponibili o sono esauriti, o comunque si prospetta una cessazione definitiva delle attività, “si dovranno invece avviare procedure di licenziamenti collettivi volti alla cessazione del rapporto, ma – almeno per le aziende di medio-grandi dimensioni – sempre attraverso una preventiva verifica sindacale”.
“Tutto ciò per significare – conclude l’avv. Codella – che il sistema italiano difficilmente permetterebbe soluzioni così immediate per ottenere la chiusura di uffici con numeri di dipendenti significativi, essendovi un apparato, di derivazione costituzionale, che si esprime anche attraverso interventi sindacali e statali che cercherebbero soluzioni meno traumatiche del congedo retribuito disposto coattivamente dal datore”.