Telelavoro, attenzione a non confondere vita privata e ufficio domestico
Uno studio di Eurofound mette in luce gli aspetti negativi su benessere e salute
In questi giorni di emergenza Coronavirus tante persone stanno sperimentando lo smart working, il lavoro agile, che per sua definizione non deve essere effettuato esclusivamente da casa, ma ovunque da remoto, anche se di questi tempi si sta svolgendo nelle abitazioni private; qualcuno lo stava già praticando alcuni giorni alla settimana, con le medesime tutele di quello svolto in ufficio. Altri, invece, avevano già sperimentato il telelavoro, per certi aspetti l’antenato dello smart working, quasi sempre svolto da casa e meno tutelato. Di certo, in poche settimane si è compreso che molte attività possono proseguire anche senza recarsi in un ufficio e le imprese che si erano attrezzate stanno reagendo tutto sommato bene alla chiusura forzata degli uffici.
Ma, in generale, il telelavoro, ha anche effetti negativi sul work life balance?
Il recente rapporto divulgato da Eurofound Telework and ICT-based mobile work: flexibile working in the digital age evidenzia che effetti negativi esistono. La ricerca parte dall’analisi degli studi condotti negli anni dall’Ilo (International labour organization) e dall’Organizzazione europea su salute e sicurezza (Eu-Osha) e dalle direttive comunitarie che si sono sviluppate attorno al telelavoro come modalità utile a conciliare tempi di vita e tempi lavorativi. Si sofferma poi sul raggiungimento o meno di tale bilanciamento: i risultati rilevano uno scarso equilibrio tra vita professionale e lavorativa soprattutto per i telelavoratori che operano continuativamente dal proprio domicilio e non hanno figli, così come per i telelavoratori con figli che si spostano molto per esigenze legate alla professione.
Un’altra variabile che emerge dal rapporto è il pregiudizio secondo cui, per alcuni dirigenti, telelavoro significa meno lavoro; da questo punto di vista, fondamentale è un filo diretto tra telelavoratore, azienda e colleghi perché, altrimenti, la risposta del lavoratore per fugare questo bias diventa quella di essere costantemente disponibile, mettendo a repentaglio la qualità della propria vita.
A influire negativamente è la quota di lavoro svolta a distanza: chi telelavora solo occasionalmente non segnala conflitti tra lavoro e vita domestica, mentre quando il lavoro domiciliare è l’unica modalità utilizzata, e perdura nel tempo, il rischio è che i confini con la vita privata non esistano più, fino a sparire del tutto quando il telelavoro non è a sostituzione del lavoro fatto in ufficio, ma una sua integrazione.
Salute, sicurezza, normativa
La salute e la sicurezza sono l’anello debole della questione: se fisicamente il primo dato è l’affaticamento agli occhi, il secondo è la difficoltà legata al sonno; lo stress, infatti, è un elemento caratterizzante per questa tipologia di lavoratori (da non confondere con gli smart workers), spesso precari e spesso donne con figli, tutti lontani dalla possibilità di fare carriera.
Inoltre, questa tipologia di lavoro non gode di una chiara regolamentazione. Dal rapporto Eurofound si evince che solo alcuni paesi in Europa hanno sviluppato una normativa precisa attraverso la contrattazione collettiva settoriale – Austria, Republica Ceca, Danimarca, Finlandia, Germania, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia – mentre manca comunque una discussione organica sul tema del diritto alla disconnessione.
La conclusione cui arriva il rapporto è che i maggiori benefici nell’equilibrio lavoro-vita privata vengono raggiunti da chi utilizza il telelavoro in forma occasionale perché, ad oggi, la normativa non è tale da garantire sicurezza e benessere adeguati.