I neolaureati italiani guadagnano meno dei “colleghi” europei
I dati di una ricerca internazionale di Willis Towers Watson, ma chi ha il “pezzo di carta” trova lavoro rapidamente e con un salario decisamente più alto rispetto a chi ha solo il diploma. Con il dottorato va ancora meglio: 8 su dieci hanno un lavoro entro un anno dal conseguimento del titolo
La laurea paga, ma non troppo. Soprattutto se il confronto si fa tra i neolaureati italiani con i pari grado di altri Paesi europei. Qualche dato: un neolaureato italiano guadagna fino al 66% in meno di un omologo laureato in Germania e il 25% in meno di un coetaneo francese. Non va meglio andando avanti con la carriera: dopo due anni di lavoro un laureato italiano vede aumentare la propria retribuzione fissa di circa il 10%, rispetto al 20% di Francia e Germania e al 25% di Spagna e Regno Unito.
Facendo un confronto esclusivamente nazionale, l’importanza della laurea in fatto di stipendio è testimoniata dai numeri: i giovani laureati italiani che affrontano il mercato del lavoro con una laurea magistrale o un dottorato percepiscono al primo impiego uno stipendio massimo di circa €32.637, il 33% in più rispetto a chi ha concluso la propria carriera scolastica con un diploma (€24.569).
Quelli citati sono alcuni dei dati emersi dall’ultimo Starting Salaries Report di Willis Towers Watson – società leader a livello globale nella consulenza, nel brokeraggio e nell’offerta di soluzioni alle imprese e alle istituzioni – che analizza le retribuzioni offerte ai neolaureati in 33 paesi di tutto il mondo, mettendoli in relazione non solo ai diversi livelli di scolarizzazione ma anche agli ambiti di attività.
I salari
La stessa società ha fatto anche una analisi sull’andamento dei salari (in generale) dei lavoratori dipendenti per il 2019, rilevando che gli incrementi saranno essenzialmente quelli dovuti a scatti di anzianità e rinnovi contrattuali: “Nel 2019 – si legge in una nota di WTW – i salari dei lavoratori dipendenti italiani cresceranno del 2,5%, un incremento pari a quello degli ultimi tre anni, che conferma una fase di rallentamento nel mercato del lavoro. Tenendo in considerazione l’incidenza del tasso di inflazione, nel 2018 la crescita retributiva reale è stata dell’1,6%, rispetto all’1% del 2017, ma le previsioni per il 2019 sono di una leggera flessione (1,5%)”.
“Il clima generale è di estrema cautela – ha dichiara Edoardo Cesarini, managing director di Willis Towers Watson, commentando i dati sui salari – Negli ultimi anni stiamo assistendo a un aumento fisiologico delle retribuzioni dovuto principalmente a scatti di anzianità e aumenti contrattuali, mentre viene lasciato poco spazio al riconoscimento economico del merito”.
Il lavoro
Il “pezzo di carta” resta sempre un buon biglietto da visita per l’accesso al mondo del lavoro. Meglio ancora se rafforzato da un dottorato di ricerca. Un’indagine di Almalaurea sul Profilo e sulla Condizione occupazionale dei dottori di ricerca svela che 8 dottorati su 10 lavorano dopo un anno dal conseguimento del titolo. L’indagine è stata condotta su oltre 4.000 dottori di ricerca di 20 atenei nel 2017 e su 4.400 di 27 atenei nel 2016. L’indagine ha rilevato anche la tipologia contrattuale: il 25,5% può contare su un contratto di lavoro a tempo indeterminato, mentre il contratto non standard riguarda il 22,4% degli occupati. Il 15,2% svolge un’attività sostenuta da assegno di ricerca, mentre il 10,8% percepisce una borsa post-doc. Infine il lavoro autonomo coinvolge il 12,3% dei dottori di ricerca occupati.