Speciale elezioni 2022 | Lavoro, le proposte dei partiti a confronto

L’appuntamento alle urne si avvicina, la campagna elettorale imperversa e milioni di italiani consultano i programmi delle diverse forze politiche per fare chiarezza. HR Link ha messo a confronto le proposte a tema lavoro nei programmi elettorali dei diversi partiti.

elezioni lavoro

Anche sul lavoro si gioca la campagna elettorale per le prossime elezioni politiche. HR Link ha provato a mettere a confronto le proposte sul tema del lavoro nei programmi elettorali dei partiti ad oggi nei sondaggi: Fratelli d’Italia e Partito Democratico (traino delle coalizioni di centro destra e centro sinistra), Movimento 5 Stelle, Azione / Italia Viva, ItalExit e Unione Popolare.

Per il Partito Democratico il lavoro e la sua centralità costituiscono il secondo pilastro del programma elettorale, dopo lo sviluppo sostenibile e la transizione ecologica e digitale, e prima del tema dei diritti e della cittadinanza: pilastri intesi come imprescindibili per la tenuta stessa della democrazia nel Paese. «Le disuguaglianze sono il freno a ogni prospettiva reale di crescita. Ridurre i divari è un imperativo, economico e morale. Per farlo vogliamo partire dalla dignità del lavoro di tutte e di tutti», si legge nell’incipit del punto dedicato a questo tema. Il lavoro, infatti, è inteso come fondamento su cui si basa «l’intera impalcatura della nostra società». Quindi dignità, che significa contrasto alla precarizzazione e alla vulnerabilità dei lavoratori e delle lavoratrici. Nel programma ci si sofferma sugli sforzi fatti con la riforma sugli ammortizzatori sociali e con l’incentivazione all’occupazione di qualità: «Il tasso di occupazione nel mese di giugno 2022 ha raggiunto il massimo storico del 60,1%, trainato soprattutto dai contratti a tempo indeterminato». Sono, però, cresciuti anche i contratti precari e i salari restano tra i più bassi d’Europa; i divari di genere e di età sono ancora una realtà, così come il lavoro sommerso, che colpisce soprattutto i lavoratori stranieri, sempre più indispensabili nei settori produttivi che vanno dalla ristorazione all’agro-alimentare, sino ai lavori di cura, si legge ancora. Precarietà significa anche poca sicurezza. «Vogliamo applicare al più presto in Italia il salario minimo previsto dalla Direttiva europea, riprendendo il percorso interrotto da chi ha fatto cadere il governo Draghi, proprio alla vigilia della sua possibile approvazione. Vogliamo utilizzare le ingenti risorse che abbiamo voluto inserire nel PNRR per rafforzare le politiche attive, per far sì che l’Italia possa avere un sistema di servizi per l’impiego e di formazione in linea con le migliori esperienze europee», si scandisce nel programma. Dove si ribadisce anche che il tema del lavoro e della dignità lavorativa è strettamente legato a quello della cittadinanza e dell’istruzione: «Vogliamo un Paese per giovani, che restituisca loro speranza, sostegno e opportunità proprio nei passaggi più importanti della vita: quelli che condizioneranno le loro scelte lavorative, affettive e familiari e di fronte ai quali si trovano spesso soli e indietro».

Il salario minimo è ovviamente il cavallo di battaglia del Movimento 5 Stelle che chiarisce: «Nove euro lordi l’ora di salario minimo legale per dire stop alle paghe da fame e dare dignità ai lavoratori che oggi percepiscono di meno». Insieme a questa misura, il M5S punta sul rafforzamento «delle misure del Decreto dignità per mettere i lavoratori, in particolare i giovani, in condizione di sviluppare progetti di vita agevolando i contratti a tempo indeterminato». Basta anche con stage e tirocini gratuiti, che si rivelano forma di «sfruttamento della manodopera». Importante, poi, «proteggere e creare nuovi posti di lavoro nel Mezzogiorno».

Di dignità del lavoro parla anche Fratelli d’Italia che si sofferma nel programma sulla sua funzione etica e sull’articolo 4 della Costituzione, che cita espressamente: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”. Inoltre, «taglio strutturale del cuneo fiscale e contributivo, a vantaggio di lavoratori e imprese, razionalizzazione delle decine di diverse tipologie di agevolazioni di incentivo alle assunzioni attualmente esistenti e accorpamento delle stesse in poche efficaci misure». Fdi vuole anche introdurre un «meccanismo fiscale premiale per le aziende ad alta intensità di lavoro, secondo il principio “più assumi meno tasse paghi”» e guarda all’Europa per il sostegno ai soggetti più deboli e per aree svantaggiate (“Decontribuzione Sud”, ndr). E poi aiuti alle imprese per rendere il lavoro più flessibile, ma anche sicuro. E rilancio degli «strumenti del contratto di apprendistato e dei tirocini; dare effettivo avvio alla riforma degli Istituti Tecnici Superiori; potenziare il sistema dei corsi post diploma di inserimento lavorativo; promuovere la formazione nell’ambito delle discipline Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics), in modo da favorire l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro e colmare l’attuale carenza di figure qualificate in tali materie». Sguardo anche alle politiche attive e ai centri per l’impiego in un’ottica di sistema di servizi pubblico-privato che medi tra domanda e offerta. E ancora superamento del gender pay gap, promozione della sicurezza sul lavoro e incentivi del welfare.

Azione/Iv parte da una premessa: «Il mercato del lavoro è improntato a un formalismo sfrenato, il costo del lavoro è altissimo, la produttività è bassa, la mobilità professionale molto limitata e gli spazi di ingresso per i giovani sono estremamente ristretti. Le imprese che operano in modo regolare sono sovraccaricate di costi e procedure molto pesanti, mentre le aziende che scelgono di collocarsi ai confini della legalità riescono a violare ogni regola. Il lavoro flessibile – quello che offre garanzie, tutele e opportunità di ingresso nel mercato del lavoro – viene contrastato dal sistema, mentre i contratti precari e illeciti si diffondono senza ostacoli efficaci». Azione, infatti, sottolinea che troppo spesso si continua a concentrarsi sul lavoro dipendente, senza considerare il lavoro perso da tanti indipendenti – molti liberi professionisti – e il fatto che la discriminazione, anche dal punto di vista delle agevolazioni, è grande. Quindi, i punti: salario minimo, detassazione dei premi di produttività, supporto alle imprese che investono in riqualificazione della forza lavoro (anche indipendente), lotta alla precarietà promuovendo la flessibilità regolare (e non le false partite iva o le finte collaborazioni), semplificazione, no al reddito di cittadinanza dopo il primo rifiuto e riduzione a due anni, lotta alle iniquità nei sussidi, via libera alle agenzie private per la ricerca di lavoro per percettori di reddito, utilizzo delle scuole tecniche per la formazione dei percettori di sussidio, sì alla partecipazione ai bandi per le agevolazioni alle imprese ai lavoratori autonomi, incentivo alla crescita degli studi professionali, completamento della riforma sull’equo compenso per le prestazioni professionali, politiche attive per gli autonomi e incentivo cassa integrazione per i professionisti, mensilizzazione delle imposte dirette per lavoratori autonomi.

Italexit – che si dichiara no green pass, no obbligo vaccinale e no identità digitale, vuole l’uscita dai trattati europei e punta alla sovranità monetaria – dichiara invece guerra all’elusione fiscale e punta alla difesa del made in Italy sotto ogni profilo. Punta inolte su piena occupazione e salari, a partire dalla considerazione che «un lavoratore costa all’imprenditore il doppio di quello che riceve in busta paga. Più soldi in tasca ai lavoratori significa crescita delle dinamiche economiche, in un circolo virtuoso che porterà a una nuova età dell’oro per la nostra economia», si legge, mentre si incita a chiudere con i «bonus a pioggia per fare contenti un po’ tutti».

Unione popolare, dal canto suo, vuole un salario minimo «di almeno 10 euro lordi l’ora (1.600 euro al mese) rivalutato annualmente», e «lavorare tutti e lavorare meno». Punta sull’abolizione del Jobs Act e sul contratto a tempo indeterminato come forma contrattuale standard: il tempo determinato potrà essere fatto solo «per circostanze straordinarie legate alla produzione e per motivi contrattuali o di legge». Abolizione anche della legge Fornero. Stop alle agenzie private per il collocamento e incentivi ai centri per l’impiego pubblici.

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