“Sostenibilità e parametri ESG: i bilanci delle aziende non sono solo finanziari”
Letizia Macrì, vicepresidente di ESG European Institute e Corporate & Compliance Manager di Avio, rilancia la necessità di valutare società e imprese anche misurandone le caratteristiche ambientali, sociali e di governance: “Ma servono criteri omogenei per permettere comparazioni affidabili”
“Il concetto di sostenibilità oggi non deve essere applicato solo ai bilanci economici e finanziari di un’azienda ma anche a parametri nuovi, che sempre più spesso misurano le performance di una società o di un’impresa, indirizzando anche gli investitori”. Per Letizia Macrì, Corporate & Compliance Manager di Avio, co-fondatore e vicepresidente di ESG European Institute – associazione no profit che si propone come interlocutore qualificato per aziende, associazioni, cittadini, istituzioni e investitori sulle tematiche ESG Environmental, Social, Governance – se tali parametri stanno stabilmente diventando delle voci prese in considerazione nel valutare il peso e la dinamicità di una realtà economica, resta ancora molta strada da fare nell’individuare dei criteri omogenei e strutturati per permettere comparazioni tra le diverse società nella lettura delle Dichiarazioni non finanziarie, ovvero Report di sostenibilità.
In che modo sta avvenendo questo cambiamento?
L’avvento della direttiva comunitaria prevede per le società quotate anche la redazione di una documentazione non finanziaria, alle quali le società si stanno adeguando e omologando. A livello decisionale i piani industriali sono integrati con quelli sulla sostenibilità: per esempio le parti variabili dei compensi degli amministratori delegati sono ancorati non solo a obiettivi finanziari ma anche a performance sulla riduzione di CO2 o il riciclo all’interno dell’azienda. Si è partiti da obblighi normativi, ma nel tempo sta mutando a prescindere la sensibilità su questi argomenti. Basti pensare che molte società quotate hanno perfino cambiato il loro statuto sociale diventando società benefit. Questo passaggio adesso richiede una standardizzazione dei parametri ESG da prendere in considerazione.
Si tratta di una rivoluzione spontanea o spinta dalle nuove normative?
Sicuramente il legislatore europeo ha intrapreso da tempo questo cammino, anche per omologare i criteri per gli investitori. Iniziative che non si limitano al solo aspetto ambientale ma che considerano anche quello sociale e di governance. Allo stesso tempo però l’esigenza è sempre più presente nelle aziende.
Su questo percorso in divenire come ha impattato il Covid-19?
Non possiamo trascurare l’attuale momento storico. La situazione che stiamo vivendo ci obbliga ad affrontare l’impatto dell’economia sulla società, altrimenti potremmo trovarci di fronte a un boomerang: le ricadute negative rischiano di essere molto importanti. Il legislatore sta aiutando a intraprendere questa strada. L’economia circolare, peraltro, può generare la richiesta di nuova forza lavoro: un esempio concreto è la figura del sustainability manager, prima inesistente.
Lei parla della necessità di una omologazione dei criteri. A cosa si riferisce?
Nei bilanci finanziari le voci di utile o perdita sono facilmente deducibili e rintracciabili. Nella dichiarazione non finanziaria lo stesso discorso non è così semplice. Molte volte i rating non utilizzano criteri standardizzati e in questo modo le valutazioni possono essere molto diverse sulla base dei punti d’osservazione presi in considerazione. Standardizzare i criteri aiuterebbe le società a intraprendere un determinato percorso ma anche un eventuale investitore. Bisogna rendere più semplice capire se si è in perdita o in credito sul fronte ESG. Questo aiuterebbe a evitare i casi di green washing, perché molte società dichiarano di impegnarsi sul fronte della sostenibilità ma poi non attuano veri sforzi in quella direzione.
Nel concetto di sostenibilità possono entrare anche nuovi interessi come la lotta alle differenze di genere o alle discriminazioni?
Oltre al tema ambientale i pilastri ruotano attorno alla governance e al social. Sicuramente il gender gap o la diversity sono tra le politiche adottate sulle quali c’è attenzione, ma in generale bisogna guardare a come una società crea utilità e ricchezza per un territorio. Cosa fa per migliorare la comunità in cui è inserita. Così come per l’ambiente, anche governance e social hanno bisogno di criteri chiari per essere definiti e misurati. Per quanto riguarda la governance è per esempio sufficiente adottare un piano anticorruzione? O avere delle procedure sul whistleblowing? Su questo servono risposte.