Smart working, priorità per mamme e genitori di figli disabili
La novità introdotta con la legge di Bilancio 2019: i datori di lavoro sono obbligati a lasciare una corsia riservata per il lavoro agile. Dibattito nel mondo giuslavoristico per la rigidità del provvedimento, ma tutti concordano sulla finalità positiva della previsione di legge. I dati dello smart working in Italia: in crescita, soprattutto nel grandi imprese
Lo smart working è una modalità di lavoro con tante sfaccettature. Spesso associato ai giovani, all’innovazione, ai talenti, alle imprese innovative con sguardo internazionale. Tutto vero, ma il lavoro agile è anche uno strumento della diversity, del work life balance, è una flessibilità buona che deve essere prioritaria per chi ne ha bisogno. Almeno così l’ha intesa il legislatore italiano, che, con la Legge di Bilancio 2019, ha introdotto l’obbligo per i datori di lavoro di dare priorità di accesso al lavoro agile alle donne nel triennio successivo al termine del congedo di maternità e a tutti i lavoratori che abbiano figli in condizioni di disabilità.
La norma
Il riferimento legislativo che ha introdotto l’obbligo è il comma 486 della legge 145/2018, che ha modificato la legge 81/2017 – ovvero quella che ha introdotto lo smart working – aggiungendo il comma 3-bis all’articolo 18: “i datori di lavoro pubblici e privati che stipulano accordi per l’esecuzione della prestazione di lavoro in modalità̀ agile sono tenuti in ogni caso a riconoscere priorità alle richieste di esecuzione del rapporto di lavoro in modalità agile formulate dalle lavoratrici nei tre anni successivi alla conclusione del periodo di congedo di maternità” e “dai lavoratori con figli in condizioni di disabilità ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 104/1992”.
Pur riconoscendone le finalità, la previsione ha destato qualche perplessità tra gli addetti ai lavori (qui un approfondimento) sia per l’impatto sulle organizzazioni, vista la rigidità della previsione, sia perché potrebbero rischiare di restare fuori categorie di lavoratori non menzionati dalla norma, ma meritevoli delle stesse tutele. C’è poi il grande tema che riguarda la natura prettamente individuale della contrattazione per lo smart working, con una previsione valevole per categorie. La previsione della legge di bilancio 2019 non ha effetti per tutte quelle aziende che offrono smart working a tutto il personale, senza distinzioni. Un numero in crescita.
I dati
Secondo l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, nel 2018 gli Smart Worker erano 480 mila, in crescita del 20% rispetto all’anno precedente. Oltre una grande impresa su due (il 56% del campione) ha avviato, nel 2018, progetti strutturati di Smart Working, adottando modelli di lavoro che introducono flessibilità di luogo e orario, e promuovendo la responsabilizzazione sui risultati (erano il 36% nel 2017). Tra le PMI invece lo Smart Working è risultato stabile rispetto: l’8% ha progetti strutturati e il 16% informali. L’effetto sui lavoratori è positivo: chi lavora in modalità agile, si ritiene più soddisfatto di chi lavora in modalità tradizionale sia per l’organizzazione del lavoro (39% contro il 18%) che nelle relazioni con colleghi e superiori (40% contro il 23%).
Il ritardo nella PA
La Pubblica Amministrazione è ancora all’inizio del percorso sul lavoro agile, ma qualcosa si sta muovendo (il caso ICE). Solo l’8% degli enti pubblici ha avviato progetti strutturati di Smart Working (in crescita rispetto al 5% del 2017), l’1% lo ha fatto in modo informale, un altro 8% prevede iniziative nel 2019. Ma la maggioranza delle amministrazioni pubbliche ancora non si è mossa.