Sblocco dei licenziamenti, Passerini (Assolombarda): «Non prevediamo situazioni drammatiche per l’industria»
Ma avverte: «Fondamentale intervenire con politiche attive e una struttura di servizi di orientamento-formazione-ricollocazione efficiente»
Si avvicina la scadenza del blocco dei licenziamenti ed è alta la preoccupazione per ciò che potrà succedere e che si teme da tempo: una crisi occupazionale di dimensioni importanti. Stefano Passerini, Direttore del settore Lavoro Welfare e Capitale Umano di Assolombarda, ragiona sugli scenari che si stanno prefigurando per le imprese associate, che sono prevalentemente industrie. «Ad oggi le previsioni che emergono dal nostro osservatorio non evidenziano una situazione drammatica – riferisce – e non si prefigurano emorragie, soprattutto per il settore manifatturiero».
Si sente di rassicurare, dunque?
«Ciò che vorrei dire è che si avvertono anche fenomeni di ripresa e abbiamo dati positivi in questo senso sul fronte dell’export; poi ci sono le attività legate ai servizi, in particolare al manifatturiero, che potranno vedere una trasformazione dell’organizzazione del lavoro in funzione di nuove esigenze emerse durante la pandemia».
A cosa si riferisce?
«Mi riferisco, nello specifico, al fatto che potranno consolidarsi nuove modalità di lavoro che hanno visto un’implementazione della digitalizzazione di tanti processi. Ciò fa sì che alcune figure professionali cambieranno, per lasciare il posto a nuove competenze in fase di evoluzione. Certe aziende inoltre continueranno ad agevolare processi di prepensionamento per quelle figure ricoperte oggi da persone vicine alla conclusione della vita lavorativa».
Quindi, tutto sommato, lei ritiene che non accadrà molto di così diverso dalla norma…
«Ci sono fenomeni che stanno nella natura delle imprese; ad esempio, le multinazionali ciclicamente mettono in atto processi di turn over di personale tramite percorsi di prepensionamento per introdurre nuova forza lavoro. Tuttavia, nonostante non si rilevino fenomeni importanti, va riconosciuto che ci sono purtroppo settori – come quelli del commercio al dettaglio e della piccola e grande ristorazione – che hanno subito sofferenze maggiori».
Quali strumenti sono necessari, a suo avviso, per tamponare un’eventuale crisi?
«Credo che il tema centrale sarà sicuramente quello delle politiche attive del lavoro: è su questo che si deve investire per mettere al centro l’occupabilità delle persone. Se avessimo un adeguato sistema di politiche attive, come in Francia o in Germania, avremmo anche processi di ricollocazione in entrata più efficienti. Infatti, non è sufficiente sapere quali posizioni professionali sono “vacanti” e quali figure non sono più richieste dal mercato. Un sistema di politiche attive deve essere accompagnato da una formazione vera, che miri alla riqualificazione delle competenze dei lavoratori esclusi dal mercato del lavoro e che li aiuti a rimanere competitivi sul mercato. In questa direzione sono quindi necessarie politiche transizionali, processi di formazione e riqualificazione coerenti con la domanda di lavoro, che tengano conto delle esigenze delle imprese e di quelle dei lavoratori. Tutto questo andrebbe anche a vantaggio della competitività del nostro sistema Paese».
Lavorare, insomma, perché sia fattibile il “piano B”…
«È meglio ragionare in questa direzione. Guardando i numeri osserviamo un mismatch: oggi ci sono posti vacanti per figure professionali che ancora non ci sono e che vanno create attraverso una formazione specifica. Quindi, una mappatura delle “vacancies” serve se si costruisce attorno a questa mappatura una struttura di servizi di orientamento-formazione-ricollocazione efficiente. Sarebbe utile in tal senso, come sostiene Confindustria, un sistema che sia espressione di quella collaborazione tra pubblico e privato necessaria e utile a garantire quanto prima l’occupazione dei lavoratori. Per adeguare strutturalmente gli operatori della PA che si occupano di politiche attive ci sarà un grande lavoro da fare: in Germania i centri per l’impiego contano 90mila dipendenti; noi ne abbiamo un decimo».
Potrebbero essere utili i navigator?
«I navigator fanno parte dell’Anpal e sono stati già formati; l’Anpal cesserà di esistere per lasciare il posto a una nuova divisione del Ministero del Lavoro che in tal modo si occuperà direttamente di politiche attive. I navigator pertanto con tutta probabilità confluiranno nei centri per l’impiego; si tratta di figure professionali laureate, formate, ma rimaste in gran parte inutilizzate, complice certamente anche la pandemia, che non ha favorito lo sviluppo dei processi, impedendo ad Anpal di ottenere i risultati immaginati. Io ci credo ancora, come ho detto, in un sistema pubblico-privato; stante l’urgenza, di alternative non ne vedo».
Tornando allo sblocco dei licenziamenti, lei non è pessimista.
«Non lo sono perché non prevediamo una situazione drammatica. Chiedendo lo sblocco dei licenziamenti le imprese chiedevano solamente di tornare ad avere quella flessibilità necessaria a recuperare posizioni di competitività e a stare sul mercato, che dopo il Covid è profondamente cambiato. Ricordo, inoltro, che esistono già degli strumenti come la cassa integrazione a disposizione delle imprese per la gestione di situazioni di crisi.
Nel corso di questi mesi – e come è sempre accaduto anche in passato, nei casi di aziende in difficoltà sul nostro territorio – i problemi sono stati affrontati e risolti tramite soluzioni condivise con le organizzazioni sindacali.