Sanofi incentiva lo smart working grazie a un accordo sindacale che elimina lo straordinario ma pone le condizioni per lavorare in modo adeguato anche fuori dall’ufficio
Laura Bruno, Hr head: «Il Covid ha fatto evolvere un modello attivo dal 2014; il “galateo” dello smart working è il fiore all’occhiello del percorso»
Sedute ergonomiche, connessione veloce e lampade adeguate sono solo alcune tra le attenzioni messe in campo in questi mesi dalla sede italiana di Sanofi, la multinazionale farmaceutica a capitale francese. Ma per questa azienda non si è trattato di una novità, piuttosto di una «evoluzione», come racconta Laura Bruno, Hr head di Sanofi Italia, perché lo «smart working era già previsto da un accordo precursore del 2014».
Sanofi ha anticipato i tempi, insomma
Abbiamo fatto nel 2014 un accordo che prevedeva un giorno di smart working alla settimana; poi, già prima della pandemia, l’accordo si era da tempo evoluto allargando l’opportunità a due giorni alla settimana, facoltativi per tutti i colleghi; uno per i siti produttivi. Il Covid, quindi, è stato un acceleratore naturale di qualcosa che era già in corso, perché stavamo già da tempo lavorando su un concetto di lavoro flessibile, agile e imprenditoriale, sui temi della responsabilizzazione delle persone, nell’ottica di far decadere il concetto di gerarchia. È stato molto importante il percorso fatto con i sindacati in questo senso e con loro abbiamo deciso di costruire un accordo su due capisaldi: il tema della fiducia nei confronti della persona e quello della responsabilizzazione delle persone verso gli obiettivi; a tal fine sono state costruite attività di formazione e sviluppo anche per i manager. Scopo del progetto e dell’accordo quello di costruire un’organizzazione che abbia obiettivi molto sfidanti e dare ai dipendenti la possibilità di organizzare il proprio lavoro in un’ottica di responsabilizzazione. Abbiamo, poi, dato forma a una sorta di galateo, ovvero a delle regole di convivenza tra colleghi basate sull’auto-organizzazione ma che tenessero conto anche delle esigenze altrui. Ci siano resi conto, infatti, durante la pandemia, che era davvero necessario darsi delle norme. Il concetto è che il singolo può organizzare autonomamente il proprio orario di lavoro, ma deve trovare alcune ore che si concilino con le esigenze dei colleghi, con la necessità di allinearsi e confrontarsi. Insomma, il mattiniero, per fare un esempio, non può pensare che anche i colleghi siano già connessi alle sette della mattina… Dal punto di vista sindacale, il grande passaggio è consistito nell’eliminazione dello straordinario: non si controlla quanto una persona lavori ma importante è che raggiunga gli obiettivi.
Lo straordinario è stato “sostituito” da strumenti e facilitazioni che in qualche modo compensassero la “perdita”?
Abbiamo fornito ad esempio supporti per l’ergonomia, bonus per acquistare lampade e sedie, il rimborso del wifi per lavorare da casa, i ticket restaurant per tutti i giorni della settimana, una novità visto che noi utilizzavamo la mensa. Queste misure si sono aggiunte a un pacchetto di welfare storicamente molto ricco, che abbiamo mantenuto durante il Covid: supporto psicologico, workshop sulla sana alimentazione, sulle regole di igiene, ma anche corsi di pilates e campus virtuali per bambini.
Che tipo di feedback avete avuto?
Molto buono perché era un progetto culturale già in atto.
Sanofi conta 2.100 dipendenti: avete notato che fascia o tipologia di popolazione ha accolto meglio questa evoluzione?
Difficile dirlo adesso, mentre è ancora in atto il contingentamento delle presenze a causa della pandemia. Riusciremo a capirlo meglio quando la situazione sarà diversa, spero nei prossimi mesi
Una recente ricerca, che ha preso come punto di osservazione la città di Milano, ha evidenziato alcune differenze tra i lavoratori, ad esempio anagrafiche, rispetto alla percezione dello smart working. Avete notato qualcosa in questo senso in Sanofi?
Ho il sentore che ci sia un equilibrio tra uomo e donna e che anche gli uomini stiano guardando allo smart working come a una possibilità interessante: la pandemia ha abituato anche loro a lavorare da casa. Le nuove generazioni, invece, mi paiono più alla ricerca della socialità. Ma è presto per trarre conclusioni. Di certo questo è un passaggio che va accompagnato con meccanismi gestionali, non può succedere dall’oggi al domani.
Vi siete interrogati su cosa potrà accadere da qui a qualche anno, dopo questa esperienza?
Io credo sia necessaria una maggiore attenzione ai temi della salute e del benessere, dopo aver vissuto un periodo di grande paura.