La terza via dei riders del food delivery: un po’ autonomi, un po’ subordinati
In arrivo un provvedimento del governo per riconoscere alcune “tutele da lavoratori dipendenti” ai ciclofattorini che consegnano il cibo a casa. I cosiddetti riders, guidati da algoritmi di multinazionali, hanno messo a nudo la contraddizione tra l’attuale diritto del lavoro e l’innovazione tecnologica
I riders? Sono la rappresentazione plastica della contraddizione tra attuale diritto del lavoro e innovazione tecnologia. Li vediamo in giro per le città, in sella alle bici o davanti alle nostre porte a consegnarci il cibo, ma chi sono questi nuovi ciclo-fattorini? Sono dipendenti o autonomi? Può un algoritmo situato da qualche parte nel mondo gestire un lavoratore italiano sulla base di parametri sconosciuti o, addirittura, estranei al nostro diritto del lavoro. È un tema epocale, di grande dibattito giuridico, ma anche di ricadute pratiche, al quale avevamo dedicato un recente approfondimento.
La città di Bologna, ad esempio, è stata la prima a varare la “Carta di Bologna” per dare maggiore dignità e tutela ai riders e al loro lavoro e per mettere nero su bianco che in situazioni estreme (neve o grave maltempo), la prestazione possa essere rifiutata.
Ma il dibattito non può essere limitato a una sola città o alle piattaforme che hanno siglato il patto. La regolamentazione dei lavoretti generati dalla gig economy – nello specifico il dibattito è sul settore del food delivery – dovrebbe essere quantomeno nazionale (se non sovranazionale).
Le modalità di impiego utilizzate dalle varie piattaforme per i riders sono variegate, ma tutte al di fuori del perimetro della subordinazione: collaborazioni coordinate e continuative, collaborazioni occasionali di lavoro autonomo e partite IVA. Lavoratori autonomi, ma con quali tutele? Nel dibattito pesa la posizione del Ministero del Lavoro, il quale ha fatto sapere che entro marzo ai lavoratori che effettuano consegne per conto delle app di food delivery saranno assicurati tutele su malattie, infortuni e paga minima.
A seguito di alcuni ricorsi, sul tema dello status giuridico dei riders è intervenuta anche la magistratura, la Corte d’Appello di Torino nello specifico, che ha riconosciuto gli elementi di subordinazione presenti nel rapporto di lavoro, ma ha individuato nei riders un terzo genere di lavoratori: hanno autonomia ma meritano alcune tutele da dipendente. È questo il crinale su cui intende muoversi il Governo e sul quale potrebbe trovare l’appoggio delle piattaforme, contrarie a riconoscere forme di lavoro subordinato tout court. Alcune piattaforme (qui il caso di my menu), anche sulla spinta di una discussione che impatta sulla reputazione delle imprese, hanno deciso di mettersi avanti in autonomia sul tema tutele e aumento dei compensi.
I riders
Di vista li conosciamo tutti perché li vediamo sfrecciare in bici, alle spalla le grandi borse con i loghi delle multinazionali del food delivery, ma chi sono veramente? Quanti sono? Cosa fanno? La Banca d’Italia ha dedicato un paper di Questioni di Economia e Finanza a Il lavoro nella gig economy. Evidenze dal mercato del food delivery. Oltre alle questioni giuridico-contrattuali, Via Nazionale dà anche una lettura del fenomeno: “Le evidenze raccolte mostrano come la gig economy sia ad oggi, in Italia come all’estero, un fenomeno in forte crescita, ma ancora di dimensioni limitate. I lavoratori coinvolti sono tipicamente giovani e altamente istruiti e utilizzano il lavoro tramite piattaforma prevalentemente a integrazione di altri redditi o come attività secondaria. Tra i lavoratori del food delivery in Italia (8.000 circa), per esempio, il 20% svolge un altro impiego e il 50% attività di studio”.