Reverse-mentoring, quando sono i millennial a insegnare ai senior

Lanciato negli anni ’90 per aiutare la trasmissione di competenze tecnologiche da junior a senior, è diventato un processo fondamentale per capire dove andrà il mondo del lavoro.

reverse-mentoring

Una volta c’era Mentore, al quale l’amico Ulisse affidò il proprio figlio Telemaco affinché gli facesse da guida prima di partire per la guerra di Troia. Da allora la figura del mentore ha di fatto rappresentato il rapporto tra il maestro e l’allievo, colui che sta imparando. Dagli anni ’90, nelle aziende, si è sviluppata anche una forma capovolta di trasmissione di competenze o conoscenze: quella del cosiddetto “reverse-mentoring”, dove è anche il lavoratore junior a offrire al senior qualcosa di utile dal punto di vista dell’apprendimento e della crescita professionale. Era il 1999 quando Jack Welch, allora Ceo di General Electrics, chiese a 500 dei suoi top manager di farsi affiancare da giovani talenti per imparare a utilizzare internet. Obiettivo, restare al passo con i cambiamenti della società e del mondo del lavoro, trattenere in azienda talenti millennial e rispondere alle esigenze dei consumatori più giovani. Oggi, però, si sta sviluppando una nuova modalità di reverse-mentoring, che va oltre la trasmissione di competenze tecnologiche.

I benefici del reverse-mentoring

La Harvard business review dà conto di una ricerca compiuta su alcune società da Jennifer Jordan – psicologa sociale e docente di leadership e comportamento organizzativo per Imd (International institute for management development) – e Michael Sorrel, ricercatore dello stesso Imd, da cui emergono almeno quattro benefici rilevanti dall’applicazione del reverse-mentoring. Il primo riguarda l’accrescimento della retention dei millennial (1), grazie al riconoscimento da parte del management: nel caso della società BNY Mellon’s Pershing il giovane mentore dell’ex Ceo Ron DeCicco ha suggerito l’apertura di chat per rafforzare la relazione tra l’amministratore delegato e i dipendenti. Questa iniziativa – in oltre tre anni – ha fatto sì che nelle chat venissero discussi temi fondamentali per lo sviluppo dell’azienda, aumentando del 96% il tasso di retention dei millennial. Il secondo beneficio ha a che fare con la condivisione delle skill digitali (2): l’attuale Ceo di BNY Mellon’s Pershing (allora COO), grazie al proprio giovane mentore, è diventato molto attivo sui social media, che ha iniziato ad utilizzare in modo proficuo per lavoro. Il terzo beneficio prodotto dal reverse-mentoring sta nel cambiamento culturale che viene avviato (3): in Estée Lauder, il programma di reverse-mentoring ha portato alla creazione di un portale – Dreamspace – dove scambiare idee e conoscenze. Infine il reverse-mentoring si è rivelato di fondamentale importanza per aiutare i vertici delle aziende a comprendere e promuovere il tema dell’inclusione e della diversità (4). Ne è un esempio il programma di PWC, che oggi coinvolge 122 millennial come mentori di 200 partner e C-level a livello globale.

Contratto psicologico e diffusione liquida della conoscenza

In una recente intervista rilasciata a Forbes, Monica Magri, HR & Organization Director di The Adecco Group Italia, sottolinea quanti e quali siano i benefici del reverse-mentoring rispetto ai processi tradizionali, nei quali è sempre stata la persona più giovane ad avere più vantaggio dal punto di vista della trasmissione di conoscenze e competenze. Con il reverse-mentoring, invece, è come se si firmasse un “contratto psicologico” che permette la diffusione di saperi stimolando professionalmente figure senior, che hanno la doppia opportunità di valorizzare la propria esperienza e acquisire nuove competenze: “Essere in prima linea nel trasferimento delle proprie competenze alle nuove leve significa rimettersi in gioco, consolidare il proprio ruolo e la propria expertise, ottenendo anche maggiore visibilità. Dal punto di vista aziendale, questo scambio permette una maggiore integrazione e favorisce la diffusione “liquida” di conoscenza ed esperienza, attenuando il senso di competizione intergenerazionale”.

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