«Reti di competenze, reskilling e flessibilità ma non precarizzazione»: ecco come sarà il mondo del lavoro nei prossimi anni per Laura Bruno
Hr Head di Sanofi Italia, parteciperà a Officina Risorse Umane il 23 e 24 ottobre
«Tra qualche tempo non saranno più pensabili organizzazioni con modalità di lavoro classiche, perché tutto sta evolvendo molto velocemente e le reti di competenze saranno sempre più importanti». È l’opinione di Laura Bruno, HR Head di Sanofi Italia dal 2010, consigliere nazionale di AIDP e di Bocconi Association per Career advise, oltre che convinta sostenitrice della leadership femminile e del merito, temi sui quali partecipa attivamente da molti anni ai tavoli di lavoro di Valore D. L’abbiamo intervistata in previsione della sua partecipazione a Officina Risorse Umane, iniziativa promosso da HR Link e Stati Generali Mondo del Lavoro, in calendario a Venezia il 23 e il 24 ottobre.
Dottoressa Bruno, in che direzione stanno andando a suo avviso le organizzazioni, anche alla luce della pandemia?
«Non avremo più organizzazioni “classiche”, si lavorerà soprattutto costruendo reti di competenze. E, in quest’ottica, il tema del reskilling è cruciale».
Cosa intende quando parla di “reti di competenze”?
«Credo che le aziende manterranno i dipendenti, ma attingeranno sempre di più anche a skill raggruppate in una rete di servizi. Per capirci: i giovani dovranno pensare a costruirsi un bagaglio di competenze da mettere al servizio di più realtà. Mi pare che questa tendenza stia prendendo forma».
Ed ecco che il tema del reskilling si pone con forza…
«Esattamente. Employability e reskilling non solo sul fronte delle competenze tecniche, ma anche di quelle soft: i temi della resilienza, della gestione delle relazioni e dello stress sono sempre più importanti, a tutti i livelli».
Quindi un reskilling per categorie. È corretto?
«Dobbiamo concentrarci su tre macro categorie: quella dei giovani, per i quali sarebbe necessario agire dal punto di vista normativo con una riforma seria. Servono più fondi per le aziende a supporto dell’inserimento dei giovani, che riguardino sia una riduzione dei costi che una maggiore flessibilità, ma sempre affiancati da una formazione continua. Un intervento economico occorre anche per la popolazione già presente in azienda, perché un certo numero di ore di formazione sia garantito a tutti. Infine, per la popolazione vicina alla pensione o over 55, è importante un investimento teso a impedire che le competenze diventino obsolete, così da tutelare la possibilità di reinserirsi, anche usufruendo di percorsi di reverse mentoring».
Esistono già fondi per le competenze. Cosa manca?
«Si tratta di fondi molto articolati che necessitano del ricorso ad agenzie esterne per poter essere utilizzati e per fare una corretta rendicontazione. Viceversa, ad esempio, il modello tedesco di alternanza scuola-lavoro e pensione-lavoro è molto agile».
Cosa è cambiato con la pandemia?
«L’e-learning ha avuto un’accelerazione pazzesca, lo smart-working anche. Tutti abbiamo acquisito una maggiore autonomia nella gestione dell’attività lavorativa».
Non crede che le reti di competenze di cui parlava incentivino la precarizzazione del lavoro?
«In parte potrebbe accadere, così come si potrebbe assistere a una diminuzione dell’engagement. Tuttavia, dovremmo uscire da un’accezione negativa del concetto di flessibilità. Parlare di precarizzazione significa parlare di mancanza di sicurezze. Insomma, noi dovremmo far sì che i giovani mettano a disposizione di più realtà le proprie competenze, ma senza che ciò coincida con sfruttamento o mancanza di tutele. Si dovrà, invece, lavorare concentrandosi sull’obiettivo finale e formare le persone in questo senso».