Cnel: 2024 positivo per il lavoro, ma con molte ombre
Il mercato del lavoro italiano ha mostrato segnali di crescita nel 2024, con un incremento di 352 mila occupati e un calo della disoccupazione. Lo dice il primo report Cnel sul lavoro, che tuttavia evidenzia come il divario di genere e le differenze territoriali restino marcate, con il Mezzogiorno che fatica a tenere il passo del Nord e non solo

Buone notizie per il mercato del lavoro italiano: il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro conferma che l’occupazione è in crescita, anche se rallentata rispetto all’anno precedente. È la fotografia del rapporto “L’offerta di lavoro nel 2024: donne, giovani e territori”, pubblicato a fine marzo.
Un’immagine, però, che con sé porta anche dei chiaroscuri: continua a essere presente tutta una serie di criticità che caratterizzano il panorama occupazionale del Paese. Il divario di genere resta infatti marcato, così come le differenze territoriali, in particolare tra il Centro-Nord e il Mezzogiorno: l’Italia, insomma, continua a procedere a velocità distinte.
L’aumento dell’occupazione
Il dato più evidente è l’incremento del numero di occupati nel corso dell’anno precedente: la cifra ha sfiorato i 24 milioni, con un aumento netto di 352mila persone rispetto al 2023. Cala invece il numero di chi cerca un’occupazione, un trend più accentuato rispetto all’anno precedente.
Un numero significativo è poi il calo del tasso di disoccupazione femminile, che scende di ben 1,5 punti percentuali: un primo segnale di una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro, anche se, in ogni caso, si parte da livelli di svantaggio storici. In generale, comunque, il tasso di disoccupazione per la fascia 15-74 anni è sceso dal 8,8% al 7,3% per le donne e dal 6,8% al 5,9% per gli uomini.
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L’aumento degli inattivi
Contrariamente all’andamento degli anni precedenti, il 2024 ha visto un aumento del numero di inattivi nella fascia d’età 15-64 anni. Dopo tre anni di calo costante, infatti, l’anno ha registrato una crescita di 56mila unità (ovvero +0,5%), raggiungendo i 12 milioni e 432 mila persone.
Più che come un paradosso – considerando la complessiva crescita occupazionale – il dato si spiega con il fatto che ad aumentare sono state le persone che non cercano attivamente un impiego né sono immediatamente disponibili a lavorare (+175 mila, +1,7%). A diminuire, invece, sono le cosiddette “forze di lavoro potenziali”, ovvero coloro che, pur cercando un’occupazione, hanno interrotto la ricerca attiva da almeno due mesi e da non più di due anni (-119 mila, -5,4%).
Un’Italia a due velocità
L’analisi territoriale conferma impietosamente la profonda spaccatura che divide il Paese. Il tasso di occupazione nazionale per la fascia 15-64 anni si attesta al 62,2% nel 2024, ma il dato medio maschera realtà profondamente diverse. Le regioni del Centro-Nord, infatti, superano ampiamente la soglia: molte aree del Nord-Est, come il Veneto, l’Emilia-Romagna e la Provincia Autonoma di Bolzano mostrano tassi di occupazione vicini o superiori al 70%.
Sud e Isole, invece, presentano livelli decisamente inferiori. Tra le regioni più svantaggiate ci sono Campania (45,4%) e Calabria (44,8%), i cui tassi sono tra i più bassi a livello europeo. Anche la Sicilia (46,8%) e la Puglia (51,2%) restano ben al di sotto della media nazionale.
Il Mezzogiorno mostra qualche segnale di vitalità. Il tasso di occupazione nel Sud è infatti cresciuto di 1,1 punti percentuali, un incremento superiore a quello registrato nelle altre aree dell’Italia. Spiccano in particolare i progressi della Sicilia (+1,9 punti) e della Sardegna (+1,6 punti). Al Centro-Nord, invece, fanno particolarmente bene il Piemonte (+1,9 punti) e la Toscana (+1,6 punti).
Il divario di genere, tra part-time involontario e contratti a termine
Le differenze di genere, nonostante alcuni miglioramenti, continuano a essere marcate. Uno degli elementi più noti è la maggiore diffusione del lavoro a tempo parziale tra le donne: circa il 30% delle lavoratrici ha un contratto part-time, a fronte di appena il 7% degli uomini occupati.
È curioso invece che il divario territoriale, per questo specifico indicatore, si riduce per le donne: la percentuale di occupate part-time è simile nel Mezzogiorno (28,8%), al Centro (29,5%) e al Nord (30,5%). Per gli uomini, invece, le differenze regionali sono più marcate, con un’incidenza del part-time che va dal 5,6% al Nord al 8,9% al Sud.
Una certa disparità incide anche sui contratti applicati: sebbene il contratto a tempo indeterminato sia la forma prevalente per i lavoratori dipendenti, sono comunque gli uomini a beneficiarne maggiormente a livello nazionale, l’81,5% contro il 77,2% delle donne. Al Sud, rispetto al 2023, si registra però un aumento della quota di contratti stabili di 1,8 punti percentuali.
La segregazione settoriale
La distribuzione degli occupati per settore di attività economica conferma poi una marcata segregazione di genere. Le donne sono infatti fortemente concentrate nel settore dei servizi (circa il 54% contro il 46% degli uomini), in particolare nei comparti dell’istruzione, della sanità e dei servizi alla persona.
Gli uomini, invece, prevalgono nettamente nei settori considerati più “tradizionali” o tecnici: rappresentano il 74,6% degli occupati in agricoltura, il 73,2% nell’industria in senso stretto e quasi il 92% nelle costruzioni.
Il fattore istruzione
Il titolo di studio resta un fattore cruciale per l’accesso e la permanenza nel mercato del lavoro: il tasso di occupazione cresce significativamente all’aumentare del livello di istruzione. Eppure, il vantaggio formativo non è sufficiente a eliminare il divario di genere.
Anche tra le laureate, infatti, il tasso di occupazione (79,3%) rimane sensibilmente inferiore a quello dei laureati uomini (86,2%). Anche per questo il Cnel ribadisce l’urgenza di politiche attive che favoriscano l’ingresso delle donne nel mercato e che promuovano anche una reale conciliazione tra vita e lavoro, oltre a garantire un’effettiva equità retributiva.
I giovani Neet
Un focus specifico del rapporto è dedicato ai Neet (Not in education, employment or training), ovvero i giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano e non sono inseriti in percorsi formativi. Nel 2024 questa fascia di popolazione contava circa 1,34 milioni di individui: un valore piuttosto considerevole, ma comunque in riduzione di quasi il 5% rispetto all’anno precedente.
Un terzo dei Neet è classificato come disoccupato e in cerca attiva di lavoro, mentre i restanti due terzi sono inattivi a tutti gli effetti. Anche per il fenomeno Neet, comunque, restano marcate le differenze territoriali. L’incidenza nel Mezzogiorno è infatti più che doppia rispetto a quella registrata nel Nord: il titolo di studio mitiga il rischio, ma non lo annulla mai del tutto.
Persino tra i giovani laureati al Sud, poi, il tasso sfiora il 18% contro l’8,5% del Centro e il 7,9% del Nord. Secondo il Cnel, quindi, sono primari interventi mirati e personalizzati sui diversi contesti socio-economici, per attivare percorsi di orientamento, formazione, inserimento lavorativo e sostegno all’autoimprenditorialità, soprattutto nelle aree più svantaggiate.