Quando il linguaggio fa la differenza: cinque consigli pratici per essere gender fair
La gestione inclusiva delle differenze in ambito aziendale è un tema delicato: i passi falsi sono in agguato, complici stereotipi a volte inconsci, ma anche linguaggi non ancora inclusivi. Eppure il linguaggio è uno strumento potentissimo per scardinare percezioni e promuovere la diversity.
“La diversità culturale è necessaria per l’umanità come la biodiversità lo è per la natura” afferma l’Art.1 della Dichiarazione Universale Unesco sulla Diversità Culturale e oggi più che mai la gestione inclusiva delle differenze – di genere, di orientamento sessuale, di religione, di etnia, di cultura – in ambito aziendale è un tema caldo e delicato: i passi falsi, infatti, sono in agguato, complici stereotipi e abitudini difficili da scardinare e a volte inconsci, ma anche linguaggi non ancora semanticamente e grammaticalmente inclusivi.
A livello globale, tuttavia, siamo ancora lontani dal raggiungere un pieno equilibrio per quanto riguarda il rispetto delle diversità individuali, tant’è vero che si stima che il 40% di dipendenti LGBTQ+ non abbia ancora fatto coming out con i colleghi e che, per colmare il gap di genere in Europa, ci vorranno ancora 54 anni. Guardando al Belpaese, poi, il gender pay gap, ovvero il divario retributivo di genere, è del 5% mentre il gap occupazionale di genere è addirittura del 19%: quello che conforta è che, pre-pandemia, il 21% delle aziende – ovvero una su cinque – ha adottato almeno una misura non obbligatoria per legge per valorizzare le diversità tra i lavoratori (il 16% delle misure riguardava le disabilità, il 13% le differenze di genere, il 10% di età e di nazionalità/etnia, il 9% le convinzioni religiose).
Il potere del linguaggio
Se quindi il gender gap è una realtà di fatto, il suo superamento passa anche attraverso il linguaggio. Ma un linguaggio neutro o inclusivo sotto il profilo del genere va ben oltre il concetto di “politicamente corretto”. Il linguaggio infatti è, di per sé, un potente strumento che contemporaneamente riflette e influenza gli atteggiamenti, i comportamenti e le percezioni. Se è vero che il concetto di linguaggio neutro ha iniziato a comparire negli Anni 80 e che alcune realtà sono da tempo sensibili all’argomento – già nel 2008 il Parlamento europeo è stato una delle prime organizzazioni internazionali ad adottare linee guida multilingue sulla neutralità di genere nel linguaggio, con l’obiettivo di garantire che, nella misura del possibile, si utilizzasse un linguaggio non sessista e inclusivo sotto il profilo del genere anche nei documenti e nelle comunicazioni del Parlamento in tutte le lingue ufficiali – per molte aziende è una tematica nuova.
«Assicurarsi di usare un linguaggio inclusivo sul posto di lavoro stimola la diversità in azienda» afferma Roberta Riva, responsabile marketing di Babbel for Business, che prosegue: «Tutto il personale si sente incluso nelle comunicazioni e nelle attività aziendali e vede la propria identità rispettata. Questa atmosfera inclusiva stimola l’innovazione e la crescita, perché le persone si sentono a proprio agio e possono esprimere nuove idee senza temere di essere giudicate o ignorate per via delle proprie unicità. Infine, prestare attenzione alla diversità e al linguaggio usato in azienda aiuta a trattenere o attirare talenti internazionali. Nella comunicazione esterna, invece, usare un linguaggio neutro e inclusivo con clienti e partner aiuta a stabilire relazioni commerciali basate sul rispetto reciproco e comunica l’idea di un’azienda innovativa e aperta alla diversità».
Le specificità di ogni lingua
L’inglese, certamente, rispetto a lingue come l’italiano, favorisce con la sua struttura la gender neutrality e già da secoli, per esempio, viene usato il pronome “they” al singolare (da non confondersi con “loro”, pronome alla terza persona plurale) in tutte quelle situazioni nelle quali non è possibile scegliere tra pronomi singolari maschili o femminili – laddove in italiano si predilige invece il per nulla equo “maschile sovraesteso” –. Oggi, il “singular they”, è la soluzione preferita dalle persone non binarie per riferirsi a se stesse; tuttavia, è possibile usare una serie di accortezze linguistiche per mantenere un linguaggio neutrale e al tempo stesso grammaticalmente corretto.
Cinque consigli pratici
Ci viene in aiuto Babbel for Business, con cinque consigli pratici per utilizzare un inglese il più possibile inclusivo: iniziando a farci caso, verrà poi naturale usare sempre maggiormente le forme espressive neutre al posto di quelle sessualmente connotanti.
Ecco le cinque regole di Babbel for Business per parlare in modo gender fair/gender neutral nel business English, illustrate da Marta Mariani, Senior Content Manager della società.
- Prestare attenzione all’uso dei titoli o dei ruoli e assicurarsi di usare un termine “gender-neutral”. Per esempio, preferire “chairperson” to “chairman” or “chairwoman”, “business person” invece di “businessman” or “business woman”.
- Preferire espressioni di saluto neutre come “Dear all” or “Hi all” invece che “Dear Sir” or “Hi guys”.
- Usare pronomi e nomi plurali, così da non specificare alcun genere. Per esempio, “Every employee can determine his/her working hours” diventa “All employees can determine their working hours”.
- Usare “they” come pronome singolare quando non si conosce il genere di una persona o come pronome non-binario.
- Evitare di usare titoli di cortesia che si riferiscano allo status matrimoniale di una persona, oppure usare quelli che promuovono l’uguaglianza di genere. Per esempio “Ms.” invece di “Miss” or “Mrs” (a condizione che la persona non preferisca essere identificata con un titolo in particolare).
Per saperne di più, qui è possibile scaricare l’utile e-book “Come promuovere diversity e inclusione sul posto di lavoro”, curato dallo staff di Babbel for Business e ricco di riflessioni e consigli utili.