Quale futuro per il lavoro: il Global summit dell’Oil mette a fuoco le sfide all’orizzonte
Aumenteranno povertà e disoccupazione, ma è importante investire dal punto di vista economico, sociale e sanitario per ricostruire una normalità ancora migliore.
L’impatto economico e sociale della pandemia è stato il tema al centro delle giornate promosse dall’Organizzazione internazionale del lavoro, dall’1 al 9 luglio, dove si sono riuniti, in modalità virtuale, rappresentanti di Stato e governo, gruppi regionali e costituenti l’Oil con l’obiettivo di stilare una serie di indicazioni per affrontare le sfide all’orizzonte: sostegno alle imprese e ai lavoratori, sicurezza sanitaria e dialogo sociale le priorità lungo cui la politica e i governi devono muoversi.
L’appuntamento si è svolto in concomitanza con la Dichiarazione del centenario dell’Oil per il futuro del lavoro e si è incentrato sugli effetti della pandemia: le ore lavorate in tutto il mondo si sono ridotte del 10,7% e si stima che siano stati persi 350 milioni di posti, se si considerano le otto ore settimanali. Alcune regioni dell’Asia e i territori attorno al Pacifico sono stati inizialmente i più colpiti, ma successivamente le Americhe, seguite da Europa e Asia centrale, hanno seguito la stessa traiettoria che ad oggi resta incerta, secondo quanto elaborato durante il summit internazionale e raccolto nel documento Building a better future of work.
Gli impatti
Il virus ha colpito più duramente persone e territori più fragili e soprattutto le donne, a ogni livello. A subire gli effetti della pandemia anche i giovani: il 50% degli studenti ha avuto ritardi nella conclusione dei corsi e il 10% dubita ancora di essere in grado di completarli. Tra i ragazzi che lavoravano, uno su sei non lo sta facendo più, mentre gli altri hanno visto diminuire l’orario del 23%. “Il pericolo evidente è quello di una generazione in lockdown”, si legge nel documento. Per quanto riguarda, poi, i settori più colpiti dalla pandemia – commercio al dettaglio e all’ingrosso, riparazione veicoli, ristorazione, ricettività, attività immobiliari, produzione – 436 milioni di piccole e medie imprese sono a rischio.
Quale futuro?
Il fatto che non ci siano certezze sull’evoluzione della pandemia complica ulteriormente il quadro. “Per quanto riguarda la crescita economica nel 2020, il FMI ha rivisto le sue previsioni pre Covid-19 dal +3,3 % al -3% in aprile”, avvertendo della possibilità di peggioramenti ulteriori. Le recenti previsioni della Banca mondiale e dell’OCSE, inoltre, indicano una contrazione compresa tra il 5% e l’8%, la più grande recessione globale dalla seconda guerra mondiale. Gli scenari migliori e peggiori dell’OMC prevedono un calo dei volumi del commercio mondiale tra il 13% e il 32% rispettivamente.
Ovunque i governi hanno lanciato pacchetti monetari e fiscali senza precedenti, pari a 9 trilioni di dollari, creando le condizioni per un debito pubblico molto forte. “Il FMI ha stimato ad aprile che il rapporto debito pubblico/PIL sarebbe passato dal 69,4% all’85,3% nel corso dell’anno, con molti paesi a livelli considerevolmente più elevati”. Insomma, per la Banca mondiale, le persone spinte verso la povertà estrema oscilleranno tra i 71 e i 100 milioni.
Le azioni della politica
La politica deve fare la sua parte, adesso più che mai. Per questo l’Oil indica quattro pilastri lungo i quali muoversi.
Il primo deve consistere nello stimolare l’economia e l’occupazione attraverso politiche fiscali attive, politiche monetarie accomodanti e prestiti finanziari a supporto di specifici settori, compreso quello sanitario; il secondo pilastro sta nel sostegno alle imprese, al lavoro e al reddito, estendendo la protezione sociale a tutte le categorie, attuando misure per il mantenimento dell’occupazione e fornendo agevolazioni fiscali e finanziarie alle imprese. Il terzo pilastro riguarda la sicurezza dei posti di lavoro, il rafforzamento del tele-lavoro laddove possibile, favorendo politiche di inclusione e possibilità di ricorso alle strutture sanitarie a tutti. Il quarto pilastro insiste sugli aspetti sociali: è necessario rafforzare la capacità di resilienza dei lavoratori, il dialogo sociale collettivo e quello sindacale.
Soprattutto se si considera l’enorme diversità di forme di lavoro che sono sorte nel recente passato: “liberi professionisti, lavoratori a progetto o temporanei, gig workers a in generale tutti coloro con un stato di impiego incerto spesso sperimentano difficoltà nell’accesso all’assistenza; a questi vanno aggiunti milioni di lavoratori senza contratto che soffrono condizioni di estrema precarietà”.
Il dialogo sociale deve essere quindi la condizione da cui partire: “le misure di confinamento decise dai governi per contenere il virus Covid-19 hanno comportato a volte gravi restrizioni alle libertà personali – si legge ancora nel documento dell’Oil – In generale, sono state accettate dalle persone, che le hanno riconosciute come appropriate, proporzionate e limitate nel tempo e quindi legittime per affrontare la lotta contro la pandemia”. Tuttavia “non esiste un motivo legittimo per cui tali restrizioni dovrebbero estendersi fino escludere il rispetto degli standard lavorativi, che rappresenteranno a propria volta strumenti importanti per affrontare la crisi”.
Mentre la pandemia ancora è in corso e le sfide sanitarie, sociali ed economiche sono ancora tutte all’orizzonte, bisogna garantire ritorni graduali e sicuri al lavoro, in attesa di cure efficaci e di un vaccino. Il dibattito su come sarà il mondo del lavoro al termine della pandemia è aperto.
Il messaggio dell’Oil
Consapevoli del fatto che la pandemia lascerà enormi strascichi, più povertà, più disoccupazione, persino rabbia, l’Oil insiste sulla necessità di agire in fretta e adoperarsi per ricostruire un mondo del lavoro migliore. “Il pericolo è quello di perdere di vista l’idea che – qualsiasi limitazione venga messa in atto oggi – il futuro del lavoro possa e debba essere quello che vogliamo che sia”, per costruire una normalità ancora migliore.