Poche donne come AD: è solo questione di genere?
Da poco si sono conclusi i festeggiamenti per la ricorrenza dell’otto marzo. Come di consueto si sono spese parole di grande ammirazione per il genere femminile, magnificando doti e denunciando l’ancora mancata parità che tutti si augurano possa raggiungersi al più presto
E’ stato anche calcolata la perdita economica derivante dalla discriminazione di cui sono vittime le donne e ancora si è dibattuto sui modi per raggiungerla. Banca d’Italia ha calcolata che se si arrivasse ad una occupazione femminile del 60% si guadagnerebbero addirittura 7 punti percentuali sul PIL.
Le donne sono più brave a scuola, sono più resilienti, si impegnano di più nella formazione, insomma meritano molto di più di quanto sino ad oggi abbiano ricevuto.
Ma non é che ci sono altri motivi per cui le donne non riescono a ricoprire posizioni di vertice? La cd “leadership al femminile” é sempre efficace?
Nei corridoi delle aziende sembra che le opinioni sulle donne non siano sempre così esaltanti. Spesso capita di imbattersi in racconti tutt’altro che edificanti di vessazioni e accanimenti di cui solo le donne sembrerebbero capaci e spesso a scapito di colleghe dello stesso sesso. Sembrerebbe che le caratteristiche positive del gentil sesso vengano meno sul luogo di lavoro.
E’ raro che comportamenti maschili analoghi vengano descritti con tinte altrettanto fosche e sembra ancora una volta che alle donne vengono riservati trattamenti particolari, se non proprio di favore.
Generalizzazioni e semplificazioni di ogni genere vogliono le donne di volta in volta competitive e cooperative, sadiche e comprensive, flessibili ed intransigenti, oneste e manipolative,, eccellenti…anche nei peggiori istinti.
Ma cosa c’è di vero? E’ probabile che molte donne, in assenza di modelli diversi da quelli maschili, rischino di aderirvi rincarando quelle quote di aggressività che sembrano renderle più credibili agli occhi dei propri colleghi. Come è altrettanto possibile che, dovendo esercitare un ruolo in un sistema pensato al maschile, molte donne si ritrovano a dover fare scelte drastiche rispetto alla propria vita privata come difficilmente ad un uomo verrebbe mai chiesto e con le conseguenti insoddisfazioni accessorie. Roberto Vecchioni cantava qualche anno fa “Voglio una donna con la gonna” suscitando reazioni opposte.
Ma veramente le donne stesse finiscono per abdicare al proprio valore aggiunto in favore di cliché altrui, oppure, come avviene per gli uomini, non tutte sono adatte a ricoprire certi ruoli?
Forse che è arrivato il momento di superare questa discriminazione al contrario per cui le donne vengono magnificate al prescindere.
Il professor De Masi, intervistato da Hr -link ci ha parlato del fatto che le aziende che hanno nel proprio consiglio di amministrazione le donne funzionano meglio. Questo dato viene spesso citato ponendo l’accento sul valore aggiunto portato dalla presenza femminile, ma lo stesso professor De Masi tiene a precisare che non è questo il punto. Il fatto che ci siano le donne nella stanza dei bottoni, indica la presenza di una cultura organizzativa più aperta alla diversità, al cambiamento, qualità fondamentali in una realtà in continuo mutamento.
Dall’altra parte c’è da sottolineare che la visione manichea che procede per giudizi opposti rischia di essere alimentata dalle donne stesse, che celebrano in consessi quasi esclusivamente frequentati da loro i temi della parità. Monica D’Ascenzo nel suo articolo comparso l’8 marzo sul Sole 24 ore ben rappresenta questo scenario:“E’necessario uscire dagli ambiti in cui le donne si sono chiuse, andarsi a sedere ai tavoli di discussione degli uomini…Solo così si potrà dire “non ci sono donne competenti per quel ruolo, solo così si potrà giocare una partita alla pari .”