Personal Branding al lavoro: pensare a se stessi come un brand
Pensare a se stessi come ad un brand: questa la sfida cui siamo chiamati come professionisti o come persone che intendono diventarlo. Ma cosa significa concretamente?
Ma cosa significa concretamente? Non si tratta semplicemente di “sapersi vendere”, espressione questa che evoca scenari che sembrano ridurci alla condizione di una merce, vendibili solo perchè abbiamo una bella confezione.
Partiamo quindi dalla definizione di personal branding, per addentrarci poi nei passi che bisogna compiere per realizzarne uno che ci distingua.
“Il tuo brand è ciò che le persone dicono di te quando non sei nella loro stessa stanza”, secondo la definizione che ne da Jeff Bezos, fondatore di Amazon.
Ancora potremmo dire che è la ragione per cui veniamo scelti in mezzo ad altri simili a noi. Secondo Jhon Purkiss, coautore di “Brand You. Turn Your Unique Talents Into A Winnig Formula” è necessario, per emergere e farsi notare, pensarsi come un edificio in construzione. La prima azione è scavare, per gettare le fondamenta del nostro personale edificio, che potrà così essere solido e al tempo stesso unico e distinguibile.
Ispirandoci al modello dei sei livelli logici di Robert Dilts partiremo dalla vision che abbiamo di noi stessi: pensarsi rispetto a quello che vogliamo diventare , scrivere materialmente come ci rappresentiamo in quel futuro in cui intendiamo muovere i nostri passi. Di conseguenza penseremo a chi vogliamo diventare e quali sono i valori che sosterranno e sostanzieranno la nostra identità. La domanda cui dobbiamo rispondere è perchè. L’autenticità, evidentemente è la chiave cui ispirarsi: è necessario sapere dare valore alla nostra storia, anche alle parti più opache , che spesso racchiudono preziosi apprendimenti.
Barare non paga…assolutamente.
Si arriva così alle capacità e competenze: mappiamole e individuiamo quelle su cui investire. Se la conoscenza di una lingua straniera è un must irrinunciabile, e lo è sempre di più, sarà li che dovremo concentrare i nostri sforzi, così come la capacità di sostenere un colloquio di selezione non potrà essere lasciata al caso e sarà invece indispensabile prepararsi per porci nel maniera più convincente possibile, imparando a raccontarci e a rispondere anche alle domande più insidiose. In tal proposito oggi si parla spesso di storytelling ed è sorprendente quanto poco si sia capaci a raccontarci: troppa l’ansia di piacere, troppi i fatti che raccontiamo e ancor più quelli che omettiamo.
Il coaching e l’allenamento , ad esempio, sono strumenti utilissimi per ripercorre la propria storia, prenderne consapevolezza, valorizzando le esperienze e gli apprendimenti ricavate da esse, per poi comporli in un racconto unico, è la nostra vita!, e convincente, perché in primis siamo noi ad esserne convinti.
Quali i comportamenti che, assumendoli, ci permetteranno di perfezionare il nostro personal brand e quando e dove pianificheremo tali azioni? Una programmazione attenta, che stabilisce tempi e luoghi ben definiti evita di rifugiarsi nella vacuità dei buoni propositi e di monitorare l’”avanzamento lavori”….c’è un cliente che aspetta la consegna e quel signore siamo noi.
Al termine di questa analisi e progettazione avremo in mano tutti gli elementi per presentarci al mondo del lavoro, e non solo, con un brand unico, che ci distinguerà dagli altri e che avrà ottime possibilità di catturare l’interesse di coloro cui ci stiamo proponendo. La nostra costruzione, riprendendo l’analogia di John Purkiss svetterà in mezzo ad una distese di caseggiati anonimi e sarà molto difficile che qualcuno non ci noti.