Millennials e Lavoro: cosa deve sapere l’azienda sui giovani talenti
La carica dei Millennials sta arrivando nel mondo di lavoro: le aziende dovranno essere pronte a fronteggiare il loro inserimento; e fare a fronte delle evidenti differenze culturali e comportamentali di cui sono portatori le giovani generazioni
Iperconnessi, abituati a scambiare informazioni in tempo reale, fedeli acquirenti on line, inclini alla smaterializzazione, navigatori intrepidi e nuotatori provetti della società liquida, i giovani nati e cresciuti a cavallo del terzo millennio stanno entrando in un mondo del lavoro gestito dalle generazioni native analogiche, che configurano le proprie organizzazioni ad immagine e somiglianza di se stesse.
Già in una ricerca del 2011 di Net Consulting si evidenziava lo scenario cui sarebbero andate incontro le organizzazioni nel momento di cui le diverse generazioni si fossero incontrate: da un lato i Millennials sono già formati all’utilizzo delle tecnologie e scarsamente preoccupati dei problemi legati alla privacy; dall’altra le aziende devono salvaguardare la riservatezza delle proprie informazioni. Lay out improntati alla presenza fisica per un’orario di lavoro ben definito si fanno sempre più stretti e incompatibili per i giovani Millennials abituati a studiare, lavorare, relazionarsi ovunque ci sia accesso alla rete.
Le skills tecnologiche si accompagnano indissolubilmente a stili di comportamento notevolmente diversi, poco inclini al controllo e meno che mai a relazioni paternalistiche. La generazione dei loro padri, i Baby Boomers, li ha educati all’idea della libertà dalle imposizioni, abdicando al ruolo genitoriale normativo di cui loro avevano fatto esperienza e questo ha prodotto refrattarietà a norme ed imposizioni che non siano frutto di una condivisione di senso. I luoghi di lavoro sono destinati a tener conto di queste differenzese vogliono sfruttare gli indubbi vantaggi portati dai giovani nati tra la fine degli anni 80 e 90.
I primi Millennials che sono già tra noi hanno già fatto sentire la loro influenza. Basti pensare come la massiccia presenza di giovani, spesso anche in posizioni apicali, nelle aziende tecnologiche ne abbiamo determinato sviluppi e configurazioni del tutto innovative, che le hanno poste ai vertici delle classifiche di “Great Place to Work”. In un’intervista del Corriere della Sera, Jim Kouzes, invita a pensare “alla differenza fra gli uffici IBM degli anni 50, con i dipendenti tutti vestiti uguali in cubicoli tutti uguali, e gli spazi colorati di Google oggi” ed inoltre “Per i giovani è importante lavorare con gente piacevoli con cui diventare anche amici. Non amano stare isolati nei cubicoli, Vogliono capi che li ascoltino e su cui poter contare…Si aspettano di essere stimolati sempre da nuovi e interessanti compiti forse perché abituati al multitasking”.
Quindi non solo refrattarietà al controllo, ma un’alta sensibilità alla qualità della vita, delle relazioni, e dell’affermazione personale commisurata al merito.
“In ogni caso” afferma Claudio Leonardi su La Stampa, “il suggerimento sembra essere quello di non tarpare le ali ai Millennials, costringendoli in regole che vorranno (e in molti casi sapranno) aggirare, ma di approfittare delle loro qualità per dare una rinfrescata a modelli di business e di organizzazione del lavoro. Facile a dirsi, ma non a farsi. Il vecchio non ha mai ceduto il passo al nuovo senza resistenze, uno schema fin troppo evidente in Italia. Ma forse anche gli scalpitanti nativi digitali dovrebbero concedere ai veterani dell’analogico qualche chance. Anche le rivoluzioni più radicali conservano legami con il passato.”