Millennials e lavoro: al di là della retorica della passione
I Millennials e il lavoro, una relazione in cui sembra affermarsi una retorica che pone l’accento sul seguire le proprie passioni. Ma è veramente la formula vincente per una la ricerca del lavoro che dia soddisfazioni e successo?
I Millennials e il lavoro, una relazione in cui sembrano affermarsi un’ottica ben diversa da quella dei loro genitori. Prima il dovere poi il piacere, questo era il refrain alla luce del quale questi ultimi sono cresciuti.
Si traduceva dalla Genesi così l’idea che il lavoro fosse soprattutto sacrifico e fatica e che anzi proprio in questo stesse il suo principale valore.
Tanto è cambiato nel frattempo e il lavoro ha perso quest’aura quasi sacra. Potremmo dire veramente che è stato dissacrato e non necessariamente dai giovani.
Lentamente, ma non troppo si è fatta avanti un’idea diversa. Seguire le proprie passioni è la strada che porta alla felicità e al successo. Una mal intesa filosofia del benessere sponsorizza questo slogan, carico di ambiguità e fraintendimenti.
Ben lo spiega l’articolo comparso su Generation Mover dove si getta l’ombra del dubbio su questa equazione che sta dilagando.
Prendere a riferimento la passione come termine per raggiungere la soddisfazione professionale può costituire un inganno pericoloso.
Questo perché come spiega bene Paolo Gallo responsabile delle risorse umane del World Economic Forum, la passione è qualcosa di molto soggettivo che peraltro non garantisce di eccellere.
Basta pensare alle passioni che ciascuno ha: raramente fanno di noi degli eccellenti cuochi, musicisti o sportivi. Inoltre la passione è focalizzata su un interesse ed è difficilmente esportabile in altre attività.
Un aspetto centrale quando si parla di lavoro e soprattutto in un contesto come quello odierno, che richiede grande flessibilità e comporta per le nuove generazioni, ma non solo per quelle, una prospettiva di cambi frequenti nella biografia lavorativa.
E’ più opportuno parlare allora di talento. Nella nostra passione può anche esprimersi un talento, ma non è scontato.
Gli equivoci del talento
Come spiega molto bene Alessandro Chelo nel suo libro “Il coraggio di essere te stesso” “la retorica che esorta a seguire le proprie passioni è dunque figlia di un equivoco e può portare solo ad un inutile senso di fallimento. Le passioni vanno coltivate nella consapevolezza che non necessariamente corrispondono ad un talento.”
I Millenials e il lavoro, una relazione in cui potrebbero rischiare di inseguire una chimera alimentata da questa retorica che reclude il talento nell’ambito di esistenze privilegiate di individui talentuosi, che sembrano rappresentare una fortunatissima minoranza.
Eppure è proprio in questo termine che si racchiude la possibilità di trovare nel lavoro soddisfazioni che, seppur non prive di sacrificio ed impegno, raggiungono il giusto obiettivo di trovare l’appagamento in ciò che si fa e per ciò che si fa.
Questo però è possibile solo se si spoglia il talento dell’aura magica di cui è investito e soprattutto da una serie di equivoci.
Alessandro Chelo ne elenca tre:
- I talenti e passioni sono sinonimi
- “Il talento riguarda attitudini di carattere artistico”
- il talento viene confuso con il risultato
Non è evidentemente così. Il grande compito che riguarda tutti noi e che in particolare riguarda i millenials e il lavoro a cui oggi i si affacciano, è quello di ricercare il proprio talento ed impegnarsi nel coltivarlo e farlo crescere per poterlo declinare nelle professioni che li attendono.
Non più quindi privilegio di pochi, ne dono divino che esenta dall’impegno e la responsabilità, ma emanazione della propria più autentica identità.