Mercato del lavoro, il primo nodo da sciogliere è il gender pay gap
Nonostante il principio di parità sia sancito a livello costituzionale e comunitario, la piena uguaglianza di genere sotto il profilo retributivo è ancora lontana. Abbiamo analizzato il fenomeno con Alessandra Malhamè, HR Director Bristol Myers Squibb, che sarà tra i protagonisti della prossima edizione di Officina Risorse Umane.
Il principio della parità di retribuzione é sancito dai Trattati europei fin dal 1957 e tradotto nel diritto comunitario. Allo stesso modo, le discriminazioni di genere nel mondo del lavoro sono da decenni un tema centrale dei dibattiti pubblici e delle agende politiche nazionali e internazionali. Eppure la vigente normativa antidiscriminatoria presenta ancora forti limiti e i dati dimostrano che la realizzazione della piena uguaglianza di genere è ancora lontana, soprattutto in termini di retribuzione. Ne abbiamo parlato con Alessandra Malhamè, HR Director Bristol Myers Squibb, che sarà tra i protagonisti della prossima edizione di Officina Risorse Umane, in programma a Firenze il 19 e 20 novembre.
Dott.ssa Malhamè, qual è lo stato del divario di genere in Europa, dal suo osservatorio?
L’analisi dei dati disponibili evidenzia un gap ancora importante tra i vari paesi europei, così come, nella nostra penisola, lo storico divario tra le regioni del Nord del Sud rimane del tutto irrisolto. La Svizzera, Paese nel quale vivo e lavoro da qualche anno, è inaspettatamente tra gli Stati peggiori in Europa per la forbice di reddito tra i sessi. Per questo motivo, da qualche anno ha introdotto una legislazione volta a erodere la discriminazione, tra cui l’obbligo per le aziende più grandi di condurre regolari verifiche retributive di genere e informare i dipendenti e gli azionisti dei risultati.
Alla fine del 2021 anche l’Italia ha introdotto delle normative specifiche in materia, firmando una nuova legge sulla parità salariale che mira ad affrontare il divario retributivo tra uomini e donne e a incoraggiare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro.
Ritiene che il gap possa essere colmato con il solo intervento normativo?
Le normative che diversi paesi in Europa stanno implementando sono certamente un importante passo nella buona direzione, ciononostante ritengo più interessante per gli addetti ai lavori e per le risorse umane soffermarsi ad analizzare in profondità quelle che sono le cause principali alla base di questa diseguaglianza. Solo in questo modo si potranno proporre soluzioni che siano adeguate e autentiche.
Quali sono a suo parere le ragioni principali del divario di genere nel mondo del lavoro?
Dati empirici identificano alcune cause principali, riportate anche dalla Commissione europea. Solo per citarne qualcuna, la sottovalutazione del lavoro e delle competenze delle donne, con una conseguente mancanza di figure femminili in posizioni di leadership, ma anche i diversi percorsi di accesso allo sviluppo di carriera e alla formazione, così come l’effettiva struttura dei sistemi retributivi (ad esempio attraverso bonus, indennità e retribuzioni legate ai risultati), che può determinare tassi di retribuzione diversi per le lavoratrici e i lavoratori.
A questi fattori si aggiunge l’iniqua condivisione dei carichi domestici, che vede spesso ricadere sulle donne la cura dei figli e dei soggetti fragili, così come la gestione dell’organizzazione famigliare.
Da non dimenticare poi la segregazione settoriale: circa il 24% del divario retributivo di genere è legato alla sovrarappresentazione delle donne in settori relativamente poco remunerativi, come l’assistenza, la sanità e l’istruzione. I lavori altamente femminilizzati tendono a essere sistematicamente sottovalutati.
Stiamo in sostanza parlando del cosiddetto “glass ceiling”, o soffitto di cristallo…
Esatto, si tratta di una barriera che impedisce alle donne di raggiungere le posizioni più retribuite. Una discriminazione che – semplicemente e drammaticamente – è spesso dovuta a fattori culturali che incidono sulle modalità di determinazione dei salari. Le competenze delle donne tendono storicamente a essere sottovalutate perché si ritiene che riflettano caratteristiche “femminili”, piuttosto che abilità e competenze acquisite. Un pregiudizio che si riflette sul compenso economico.
Ad esempio, un’infermiera donna guadagna meno di un tecnico medico uomo, anche se hanno livelli di qualifica comparabili.
Quali sono le possibili soluzioni, a suo avviso?
Trovo interessanti alcune proposte avanzate dalla comunità europea lo scorso anno, come la direttiva sulla trasparenza e la parità salariale, che conferma il detto “sapere è potere”: il divario retributivo di genere può essere affrontato e risolto se i lavoratori e, soprattutto, le lavoratrici, sono messi in condizione di conoscere le retribuzioni dei propri colleghi. Oppure le direttive sul work life balance, che contemplano una serie di congedi aggiuntivi per uomini e donne, per potersi dedicare alla cura dei familiari.
Nella maggior parte dei casi il divario retributivo tra i sessi rimane inspiegabile e non può essere collegato a caratteristiche del lavoratore o del luogo di lavoro, come l’istruzione, l’occupazione, l’orario o l’attività in cui la persona è impegnata. Una maggiore trasparenza delle retribuzioni aiuterebbe a scoprire differenze ingiustificate basate sul genere per mansioni uguali o di pari valore.
È questa dunque la strada da seguire anche in Italia?
Io credo di sì. Le politiche attive in Italia dovrebbero dirigersi in questa direzione. Dopo la pandemia di Coronavirus, una ripresa attenta al genere deve affrontare il divario retributivo tra i sessi attuando la trasparenza retributiva, promuovendo la condivisione paritaria delle responsabilità di cura, rompendo il soffitto di cristallo e valorizzando meglio le competenze, gli sforzi e le responsabilità delle donne.
Ce la possiamo fare?
Sarebbe decisamente ora… Quasi ottanta anni fa fu scritto l’Articolo 3 della costituzione italiana, il quale sancisce che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E ancora, che é compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Purtroppo dopo tanti anni non si é riusciti ancora a rispettare questo principio costituzionale fondamentale e a rimuovere gli ostacoli che impediscono di raggiungerlo. Le donne nel 2022 sono ancora penalizzate nel mondo del lavoro e il divario sarà ancora più evidente quando raggiungeranno la tanto agognata pensione.