Meliusform, premiato allo SMAU il progetto per la formazione a realtà aumentata e olografica

Marco Astolfi, Officer strategy & development, racconta i punti di forza di questo strumento che “spinge” le imprese verso l’organizzazione esponenziale

Marco Astolfi

Formazione, realtà aumentata e realtà olografica. È su queste due architravi che si basa il progetto pilota Holo-Corporate-Learning, vincitore del premio Innovazione SMAU 2020, realizzato da Meliusform – business school con oltre venti anni di esperienza nel settore della formazione aziendale, manageriale e professionale – con la collaborazione tecnologica della società Hevolus Innovation. Una formazione “evoluta” il cui obiettivo è quello di introdurre una tecnologia innovativa nei processi di organizzazione aziendale, spingendo verso quella “exponential organization”, ancora poco diffusa in Italia.  A raccontare il progetto vincitore è Marco Astolfi, Officer strategy & development di Meliusform: “Il Premio SMAU conferma la qualità del nostro impegno nell’innovare costantemente la formazione aziendale, elemento strategico per il successo delle imprese”. La piattaforma Holo- Corporate-Learning fa leva sulle potenzialità della realtà mista, del cloud computing e dei visori Microsoft HoloLens 2.

Astolfi, quali sono i punti di forza di questo progetto formativo?

I vantaggi sono vari, ma possiamo dire che – benché si operi con la realtà virtuale – non si perde la connotazione dello spazio. Grazie allo strumento tecnologico innovativo possiamo coinvolgere le persone ovunque esse siano, facendole intervenire come avatar. Basta una foto e viene ricreato l’ambiente con l’avatar dei partecipanti, con cui il docente interagisce. Molto interessante e coinvolgente è la sperimentazione con la lavagna, dove si possono addirittura attaccare dei post-it… Si tratta di un progetto davvero molto completo in cui la tecnologia olografica di natura tridimensionale aumenta, appunto, il coinvolgimento.

Quali sono, a suo avviso, i maggiori vantaggi?

Innanzi tutto l’implementazione della fiducia. È molto importante nella formazione trasversale: quando si ha necessità di mettere in campo elementi di simulazione, il role play, è necessario che le persone non si sentano giudicate e – se sono serene – possono esprimere il loro potenziale molto di più. Non tutti durante il role play riescono a essere disinvolti; in alcuni casi subentrano paure, inibizioni, pregiudizi. Certe persone vivono il momento di formazione come un’occasione in cui si è valutati. Se si elimina questo ostacolo, il potenziale dei singoli viene espresso in modo più genuino.

La vostra idea è frutto del periodo di pandemia o precedente?

È un’idea pre-Covid. Ci siamo voluti cimentare con queste modalità perché ci crediamo, perché è nel nostro Dna. Volevamo, in un certo modo, essere avanti rispetto agli altri, proporre un modello di formazione evoluto da un punto di vista tecnologico.

Quali sono gli altri vantaggi di questa formazione?

Di certo un altro aspetto è quello della emotional connection: l’utilizzo della realtà virtuale aiuta il personale aziendale a relazionarsi meglio con la formazione, a entrare in connessione emotiva con il contenuto. È quando si attiva il link con le emozioni che si assorbono le conoscenze, si ricordano più facilmente le informazioni. È evidente che così migliorano anche i risultati. L’altra cosa che aumenta con progetti come il nostro è la concentrazione. Abbiamo davvero sperimentato che – nel momento in cui si indossa questo caschetto e si “entra” nella formazione a realtà aumentata – spariscono le distrazioni: non si vedono i messaggi, le chiamate. Finiscono le occhiate furtive allo smartphone, perché ci si sente davvero coinvolti.

Aumenterà la rapidità e diminuiranno i costi?

Certamente. Si tratta di due aspetti collegati l’uno con l’altro. Più velocemente i dipendenti si formano, più il riscontro dell’investimento è veloce. Return on investment, così le aziende sono soddisfatte. Noi riusciamo a mandare il dispositivo a ciascun dipendente, anche a casa, sulla base delle esigenze di ciò che deve essere fatto. Viene fatta una breve formazione sul dispositivo, che viene settato, e poi si entra nell’aula virtuale, dove abbiamo generato il sistema di condivisione con gli avatar. A quel punto la situazione non è fruita on demand o in modo asincrono, ma è live. Sul fronte dei costi, se consideriamo che sono numerose le variabili – il numero di sedi, di persone da formare, il costo dei docenti, le strutture, le trasferte – se si supera il break even delle trenta persone, poi esistono solo i benefici. Aggiungiamo l’aspetto sicurezza, che di questi tempi è fondamentale: i costi di sanificazione sono bassissimi.

Avete precorso i tempi…

Il progetto è stato presentato allo SMAU prima che si prevedesse la seconda ondata. Abbiamo ricevuto tanti riscontri dalle aziende, un interesse che da un lato ci lusinga e dall’altro in qualche modo “appesantisce” il lavoro. Ma è giusto così. L’altra modalità erogativa molto richiesta è il video in live streaming che realizziamo con una nostra piattaforma: possiamo condividere e realizzare più aule virtuali, simulazioni con altre room; si tratta di un modello molto performante.

Il vostro progetto è rivolto solo al privato o anche alla Pubblica amministrazione?

SMAU lo ha presentato anche per le Pa, ma ovviamente ci rivolgiamo a tutti, anche dal punto di vista delle funzioni, non solo agli Hr. Come dicevo all’inizio, crediamo fermamente nell’organizzazione esponenziale del lavoro: una disciplina attraverso la quale si cerca di offrire un processo a tutti i responsabili delle varie funzioni aziendali, indirizzato su come approntare le innovazioni tecnologiche. In Italia spesso si delega ancora questa funzione agli IT manager, a figure “vecchie”, spesso sistemisti. Ma è necessario abituare il management ad adottare l’evoluzione tecnologica in tutti i settori. Deve cambiare la mentalità del management, ma questa formazione dovrebbe essere destinata a tutto il personale: l’organizzazione esponenziale proviene dalla Silicon Valley.

Il tessuto imprenditoriale italiano, tuttavia, è diverso.

Il tessuto è costituito dalla piccola-media impresa, certo. Uno studio del 2011 della Olin Graduate School of Business del Babson College prevedeva che entro dieci anni il 40% delle società attualmente presenti nella Fortune 500 non sarebbe più esistita. Richard Foster di Yale stimava che la vita media di un’azienda dell’indice S&P 500 si sarebbe ridotta a 15 anni, per poi ridursi ulteriormente. Ma il tasso di cambiamento reale è più veloce rispetto a quanto preventivato dieci anni fa. Le aziende quotate devono effettuare cambiamenti di mentalità e avvicinarsi a logiche di business transformation e all’organizzazione esponenziale se vogliono sopravvivere.

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