Manager Risorse Umane: manager interni o manager esterni?
Manager Risorse Umane: i criteri per una scelta strategiche dell’HR management
«Luxottica rimane così: i geni non entrano più. Abbiamo tanti giovani dentro che crescono».
Queste le affermazioni fatte dal presidente Del Vecchio in Aprile contestualmente agli annunci relativi alle nuove assunzioni e agli ampliamenti degli stabilimenti.
Sembrerebbe così tramontata l’epoca dei supermanager che in questi anni hanno occupato le posizioni chiave della governance e della gestione dell’azienda, diventata modello sia per i continui risultati raggiunti, sia per quello di welfare applicato alla gestione delle risorse umane.
Ed è proprio in questa funzione che, dopo l’addio al co-a.d. Adil Mehboob-Khan, si è assistito ad un altro eccellente avvicendamento.
Al posto infatti di Nicola Pelà che è aveva ricoperto la funzione dal 2005 arrivando da diverse e prestigiose esperienze tra cui l’Olivetti, è stato insediato Piergiorgio Angeli che aveva affiancato il manager, migrato a Londra presso Walgreens Boots Alliance, sino dal 2007.
Si conferma così il nuovo corso annunciato da Del Vecchio che, in controtendenza rispetto alle aziende che mediamente privilegiano l’assunzione di manager esterni per occupare posizioni apicali, ha deciso di valorizzare le risorse che negli anni sono cresciute nell’azienda.
Il valore aggiunto che sembra essere ricercato in questo tipo di soluzione è una profonda conoscenza del business, un’adesione alla vision aziendale che garantirebbe un’esecutività in linea con la rapida espansione di Luxottica e una appartenenza all’azienda e al territorio.
Ma il modello Luxottica può essere assunto anche in questo caso a paradigma?
E’ sempre vero che l’antico adagio “moglie e buoi….” si può applicare a tutte le aziende?
Oltre alle storia e alla cultura, bisogna tenere conto delle condizioni di contesto, delle sfide che si vogliono affrontare, delle criticità da risolvere.
Come già detto da Einstein, “ I problemi non possono essere risolti allo stesso livello di conoscenza che li ha creati”.
E questo vale non solo per i problemi, ma anche per tutte le situazioni che richiedono un salto di paradigma.
Allora l’immissione di manager che arrivano dall’esterno dell’azienda coincide con l’introduzione di nuove risorse, competenze, pensieri che aiutano a superare le impasse gestionali e di governance che si possono creare in ogni sistema che è stato confermato da anni dai risultati.
Ma anche in questo caso non si tratta di una scienza esatta.
Sia in questa soluzione, come in quella attuata da Luxottica è soprattutto fondamentale rifuggire dalle facili retoriche che portano a fare scelte sulla base di convinzioni più che di attente valutazioni. I manager di importazione non sono dei taumaturgi, uomini buoni per ogni stagione e azienda, come chi si alleva internamente può portare con se il limite di non conoscere molto altro e questo, indipendentemente dal valore del singolo.
Qual’è quindi il giusto equilibrio?
Maurizia Villa, managing director di Korn Ferry in Italia, intervistata sull’argomento da Rosamaria Samo risponde in questo modo “Il mix ideale dipende dalla strategia di business e dallo sviluppo di un’organizzazione.” e ancora afferma che in Italia la prevalenza delle aziende famigliari ha fatto si che si siano create non poche difficoltà nelle fasi di transizione, con le reciproche diffidenze tra proprietà e manager esterni. Se si aggiunge lo scarso investimento nel succession management si comprende come la questione sia ben più complessa della sola soluzione del dilemma manager esterno o interno.