L’urgenza di creare consapevolezza sui temi di genere in azienda, il caso Nice

All’interno delle iniziative di Diversity Equity and Inclusion, è ormai un’urgenza non più rimandabile adottare strategie efficaci per colmare il gender gap in azienda e non solo. Quali azioni adottare? Nice, azienda leader globale nell’Home Management Solution, propone progetti innovativi, come il Women Network Globale. Ne abbiamo parlato con Teo Noschese, Group Chief Human Resources Officer di Nice.

Teo noschese

Nice ha implementato la propria strategia di diversità, equità e inclusione, da dove è nata questa esigenza?

«Premetto che Nice, nonostante sia un’azienda abbastanza giovane, è cresciuta molto nel corso degli anni con tante acquisizioni, dall’Australia al Canada, al Brasile e così via, e ha quindi sempre avuto un approccio molto internazionale e interculturale nelle sue diverse sedi, compresa l’Italia, dove la nostra popolazione aziendale è composta da persone di nazionalità, culture, religioni diverse.  Anche per quanto mi riguarda, prima di approdare in Nice quattro anni fa, per molto tempo ho lavorato all’estero in società all’avanguardia da questo punto di vista. Per tutti questi motivi ci è parso quasi naturale metterci in gioco e chiederci cosa potessimo fare per migliorare ulteriormente su tematiche come diversità, equità e inclusione, partendo dal presupposto che, per noi, significa prima di tutto offrire un ambiente di lavoro sicuro e confortevole, dove tutti si possano esprimere senza mai essere giudicati e dove si agevola lo scambio di idee».

Più nel dettaglio, come è nata la collaborazione con la scuola di management CIMBA Italy? Quali erano gli obiettivi e a cosa ha portato?

«In linea generale, la collaborazione con Cimba è nata dall’esigenza di confrontarci, rispetto al nostro piano di sostenibilità, con altre realtà importanti e quindi di avere un benchmark da un’entità esterna. L’obiettivo principale era infatti quello di capire come migliorare il nostro progetto e raggiungere i target che ci siamo prefissati per il 2025-2026 soprattutto in termini di gender gap e differenza salariale, ma non solo».

In particolare, cos’è e come funziona il Women Network?

«Per questo progetto – nato dal confronto con Cimba e che ho potuto sperimentare anche durante le mie precedenti esperienze, in particolare in General Electric – abbiamo voluto mettere a disposizione delle nostre dipendenti la possibilità, su base volontaria, di riunirsi a livello internazionale, per discutere di diversi temi, a partire da quelli legati all’equità. L’idea è anche che all’interno di un network di questo tipo, le partecipanti, sempre in maniera indipendente, possano sentirsi stimolate a elaborare e quindi presentare proposte per nuovi progetti sulle tematiche DEI, e non solo».

Qual è invece il ruolo degli DEI Ambassador?

«Gli DEI Ambassador sono persone – a oggi una quarantina – che, sempre in maniera indipendente e su base volontaria, si fanno promotrici di iniziative con l’obiettivo di sensibilizzare gli altri colleghi sulla diversità in azienda. Si tratta di uno dei progetti che, insieme al training e ad altre attività aziendali, vanno nella direzione di una maggiore consapevolezza rispetto ai principi di equità, diversità e inclusione all’interno dell’organizzazione».

 A questo proposito, qual è, secondo lei, il ruolo delle aziende nello sviluppo e diffusione di una cultura basata su diversità, equità e inclusione?

«Prima di tutto è importante, sempre con il supporto di HR, coinvolgere il top management. Noi prevediamo già da diversi anni corsi di formazione e iniziative specifiche per i manager, lavorando con alcune associazioni a livello nazionale e ora anche internazionale. Non bisogna poi dimenticare che il percorso verso una cultura aziendale inclusiva è piuttosto lungo e non si può compiere dall’oggi al domani. In quest’ottica, stiamo promuovendo anche alcune iniziative di mentoring e coaching da parte di senior manager rivolte ai colleghi».

 Dal suo punto di vista, qual è la situazione in Italia rispetto allo scenario internazionale?

«Come dicevo prima, lavorando all’estero negli Stati Uniti, ma anche in Brasile, in Australia e in Medio Oriente, ho potuto immergermi in prima persona in culture differenti. Osservando la situazione in Italia, è indubbio che di recente ci sia più attenzione su temi come quelli di diversità, equità e inclusione, ma anche che, forse per motivi culturali o per mancanza d’iniziativa, ci sia ancora molto da fare. Anche per questo motivo, noi abbiamo cominciato ad assumere persone di diverse nazionalità a tutti i livelli. Secondo me è arrivato il momento di agire, e anche le aziende italiane devono fare in modo di attrarre i talenti che provengono da altri Paesi, dando a tutti la possibilità di crescere, anche nell’interesse delle aziende stesse. I giovani sono una vera risorsa per le organizzazioni, che devono imparare ad attrarli anche migliorando in termini di equità e inclusione. E aggiungo che un’altra sfida a cui le aziende sono chiamate oggi è quella di andare incontro a un numero sempre maggiore di generazioni che lavorano gomito a gomito, a volte anche con differenze di età notevoli, e quindi con esigenze e sensibilità diverse».

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