Lo smart working al rientro in ufficio: idee e opinioni all’ora dell’aperitivo
Al via il ciclo di appuntamenti dedicati a un confronto tra HR sulle trasformazioni del mondo del lavoro
Un confronto tra HRD all’ora dell’aperitivo per scambiare opinioni sulle trasformazioni del mondo del lavoro: questa la nuova iniziativa di HR Link, avviata il 14 settembre a Milano con un primo appuntamento dedicato al tema dello smart working al rientro in ufficio, promosso in collaborazione con Gympass, società leader mondiale del corporate wellbeing, Anothereality, start-up specializzata nello sviluppo di soluzioni immersive XR, e PerPranzo, il primo servizio di mensa diffusa digitale, che ha offerto la sede dell’iniziativa.
Al centro dell’incontro l’approccio delle aziende al lavoro agile, ora che l’emergenza pandemica sembra essersi attenuata. Dal questionario preparatorio – cui i partecipanti hanno risposto come base di riflessione per evento – emerge che circa il 70% delle imprese intervenute ha già in essere un accordo aziendale sullo smart working, o è in procinto di attivarlo. In alcune realtà il lavoro agile può essere usufruito anche per 5 giorni alla settimana, sebbene 2-3 giorni siano la soluzione più praticata. Tra gli aspetti cruciali emersi dal sondaggio, anche il valore del work-life balance. Secondo gli HRD intervistati, lo smart working in generale ha portato con se’ molti benefici sul piano dell’equilibrio vita-lavoro: i dipendenti hanno apprezzato in particolare la possibilità di trascorrere più tempo al di fuori dell’ufficio (aspetto considerato molto rilevante nel 92,3% dei casi), ma hanno anche richiesto di adattare le soluzioni welfare a questo nuovo equilibrio: questo fattore viene riferito come molto importante dal 75% dei direttori risorse umane presenti, che – nella metà dei casi – mettono i cima alla lista delle proprie priorità proprio l’individuazione di modalità più flessibili per accedere ai servizi di welfare.
A partire da questa esigenza si è mosso Gympass – main sponsor dell’iniziativa – il cui pacchetto di servizi per il work-life balance legati all’esercizio fisico e al wellbeing si è evoluto proprio in quest’ottica: inizialmente offerti dai centri sportivi, in seguito sono diventati fruibili anche in modalità virtuale e on demand. «Un elemento positivo che ci ha lasciato in eredità il Covid è che la salute dei dipendenti è diventata fondamentale», ha sottolineato Davide Uberti, Client Sales Senior Manager di Gympass. È stato poi Marco Spadafora, Client Success Director South Europe della società, a mettere a fuoco quali siano gli elementi più importanti su cui fare leva per il mondo HR, intercettando le esigenza strategiche del dipartimento risorse umane di un’azienda. «Abbiamo cercato di lavorare sul piano dell’engagement per attivare i dipendenti con offerte personalizzate, anche nel versante mindfulness, nutrizione e con un approccio 360° al benessere fisico e mentale», ha sottolineato Spadafora.
Dopo la presentazione di Gympass, la discussione si è aperta toccando temi come quello della paternity leave e della resilienza, come risposta a una nuova attenzione verso le persone: «Se si pensa anche solo per un attimo a una nuova crisi, avere investito su skill come l’intelligenza emotiva o la capacità di fare team building senz’altro paga», ha sottolineato Davide Uberti, senior sales manager di Gympass, aprendo la discussione.
Un po’ più cauto Gualtiero Mago, Group VP Italy Human Resources di STMicroelectronics: «Quello che abbiamo provato a fare è stato ricostruire un ambiente di lavoro diverso da quello precedente, ma che permettesse alla gente, ogni tanto, di esserci», afferma. E aggiunge: «L’azienda manifatturiera tipica italiana ha di certo bisogno di un grande aiuto per andare oltre alla spazialità fisica del lavoro».
Proprio a partire da questo ragionamento si è entrati nel vivo di come, in generale, le aziende stiano gestendo la presenza in ufficio, attualmente: c’è chi prevede due giorni di smart working, c’è chi garantisce il 30% di persone nelle sedi, come ad esempio accade ad Enel, dove, ha fatto sapere Carlo Albini, Head of people and organization innovability, si ipotizza che l’opzione della permanenza in ufficio a rotazione possa rimanere anche dopo la fase pandemica. C’è poi chi sta permettendo piano piano di tornare a tutti i dipendenti con green pass e distanziamento, in alcuni casi con tampone. Ciò che emerge dal dibattito è che le sfaccettature, in questo senso, sono molteplici a seconda del settore in cui le aziende operano.
La ristorazione, ad esempio, è un caso a sé, molto influenzato anche dalle legislazioni locali. Come nel caso di Autogrill, che prima della pandemia assumeva circa 2 mila persone all’anno, ma che quest’anno fatica a trovare proprio perché i giovani che di solito cercano questo tipo di lavoro non hanno ancora il green pass: «In Francia alcuni punti, in estate, non riuscivano a stare aperti il pomeriggio», ha commentato Gabriele Belsito, HR Director del colosso della ristorazione commerciale. Perché in Francia senza green pass non si entra nel posto di lavoro.
Un caso analogo è quello delle imprese che si occupano di trasporto. «Un’azienda in cui la maggior parte del personale guida treni non è interessata a questa evoluzione allo stesso modo di altre – ha sottolineato Andrea Del Chicca, Direttore Corporate di Trenord – Tuttavia è molto importante che un’organizzazione sia result objective oriented, ovvero in grado di pensare un lavoro agile inteso non solo come lavoro da remoto, ma costruito a partire da una managerialità capace di delegare in modo efficace». A tal proposito Trenord sta rivedendo i percorsi formativi proprio per andare in queste direzione.
Tra i problemi da affrontare emersi dal questionario, gli HRD riferiscono come prevalenti l’iperconnessione – per il 92% di essi è l’azienda che deve assumersi la responsabilità di garantire il diritto alla disconnessione, tramite gli accordi di lavoro agile – e la mancanza di socialità e occasioni di confronto.
È stato Fabrizio Rutschmann, CHRO di Prysmian Group a sottolineare quanto alcune organizzazioni avessero già investito sulla qualità dei posti di lavoro, anche prima della pandemia, creando aree social dove le persone possono lavorare, collaborare e anche chiacchierare, perché parte della «libertà individuale – ha detto con convinzione Rutschmann – sta anche nell’uscire di casa per recarsi al lavoro e, se si guarda al bilanciamento di genere, il lavoro da casa rischia di pesare soprattutto sulle donne». L’idea emersa dal confronto è che, a velocità diverse a seconda di come la pandemia sta evolvendo nei diversi paesi, si dovrà pian piano tornare in sede, o comunque agire tentando di fare sì che lavoro agile non equivalga a lavoro da remoto: il valore umano della socialità, insomma non può essere tutto dietro uno schermo, anche se la tecnologia ci ha permesso di essere produttivi nel breve termine.
«Credo che in pandemia la generazione che ha imparato di più sia stata quella non giovanissima, che ha appreso a lavorare in tutto un altro modo – ha ripreso Gabriele Belsito, HR Director di Autogrill – ai giovani invece manca questa socialità; di recente noi siamo riusciti ad assumere un giovane proprio perché garantivamo almeno due giorni in azienda».
«Abbiamo constatato – ha continuato Rutschmann – che la forzata remotizzazione talvolta fa perdere network e che alcune persone lasciano perché non c’è un tessuto forte che le tiene vicine all’azienda. Al contempo, certi processi, come quello legato alla digitalizzazione – che da noi è iniziata molto prima della pandemia, quando abbiamo dato a tutti i laptop ed eliminato i cestini affinché non si stampasse più – dimostrano che le persone si abituano ai cambiamenti che inizialmente sembrano inaffrontabili.
Per questo c’è chi ha scelto di investire in sedi di lavoro nuove – ha sottolineato Fausto Fusco, HRD di Bip – che ospitano un numero di postazioni molto inferiore a quello del personale dipendente (400 su 2.000 in ufficio). Il concetto è che si può essere smart in ogni luogo, anche cinque giorni su cinque, centrando tutto sul piano della responsabilità.
Un’opinione condivisa da Nicola Ladisa, HR & Organization Director di De Agostini: «La cultura è ciò che fa la differenza vera: sapere che tutti i collaboratori lavoreranno ovunque siano fisicamente». Questo, come emerge anche dal questionario, è ancora un nodo da superare, in molti casi perché è diffusa l’idea che il dipendente “lontano dagli occhi è lontano dalla produttività”. Da scongiurare anche il rischio che il dipendente subisca la «sindrome dell’orso», ovvero resti intrappolato in uno smart working vissuto come «guscio protettivo», a scapito oltre tutto anche della fruizione delle ferie.
Tra i temi emersi nel corso dell’incontro anche quello legato all’uso della tecnologia, il cui utilizzo negli ultimi due anni ha avuto un’accelerazione fortissima anche nel campo della realtà virtuale, mutuata dal mondo dei videogiochi a quello del business. Da segnalare in questo senso il focus realizzato da Lorenzo Cappannari, fondatore di Anothereality, che ha offerto agli HR presenti una esperienza di realtà virtuale. Nei due anni di pandemia le aziende si sono rese conto che i mondi virtuali possono essere una soluzione a una serie di dinamiche legate ad esempio alle emozioni che entrano in gioco in ambito lavorativo. Di fatto la realtà virtuale permette di trasmettere in modo digitale le emozioni e le relazioni: «Questo è il grande vantaggio; lo svantaggio invece è che ancora queste esperienze hanno un funzionamento one-to-one, vanno indossati dei visori, e ancora non sono strumenti così fruibili su larga scala», riferisce Cappannari.
In un contesto come quello descritto nel corso dell’iniziativa, anche la pausa pranzo sta subendo una trasformazione. Ne è testimonianza l’attività di PerPranzo, il primo servizio di mensa diffusa digitale che connette organizzazioni e ristoranti tramite un’app. PerPranzo – che ha offerto la sede dell’evento – mette a disposizione delle aziende un software in cloud tramite il quale viene creato un network di ristoranti su misura, che i dipendenti possono scegliere tramite applicazione. Un servizio defiscalizzato, deducibile e detraibile, più conveniente rispetto a una soluzione basata esclusivamente sui buoni pasto.