Le chiusure domenicali e gli effetti sul mercato del lavoro.
Quali effetti sul mercato del lavoro? Dal report Adapt a oggi: un’interessante analisi sul mercato del lavoro e le nuove norme per quanto riguarda le chiusure domenicali, con una riflessione di Alessandra Bergamo, HR Director di MediaWorld.
Le chiusure domenicali dei negozi sono da tempo al centro di un dibattito politico, economico e sociale che coinvolge diverse categorie di soggetti, dai commercianti ai lavoratori, passando per consumatori e sindacati. È una questione delicata e complessa, in cui è difficile misurare gli equilibri – e le esigenze – delle parti, tenendo conto anche delle differenze territoriali e settoriali, nonché delle trasformazioni in atto nel mercato e nella società.
Il report Adapt
Qualche anno fa con il Report stilato da Adapt, Associazione per gli Studi Internazionali e Comparati sul Diritto del lavoro e sulle Relazioni industriali, iniziò a delinearsi lo scenario sulle aperture e chiusure domenicali per il ccnl del commercio.
Nel report trovava spazio la descrizione di come le chiusure domenicali, fossero soprattutto relative a settori per cui c’erano oggettive difficoltà nell’eventuale interruzione di alcune attività. Se si pensa al settore della ristorazione e del turismo, ma anche al settore siderurgico sembrava difficile accettare l’idea della domenica come giorno festivo per tutti e il tema ha suscitato un notevole e ampio dibattito. Si legge nel report che anche le associazioni di categoria hanno trovato negli anni difficoltà nel portare avanti la normativa relativa alle chiusure di domenica.
“Le associazioni datoriali, in generale, si mostrano critiche di fronte alla proposta di chiusura domenicale dei negozi. Fra le altre, Confcommercio e Cna Turismo e Commercio presentano posizioni alquanto sfumate e aperte al confronto, con la prima più possibilista e la seconda comunque piuttosto dubbiosa. L’unica associazione che fino in fondo sostiene la necessità dell’intervento legislativo è Confesercenti.” scrive nel report Andrea Rosafalco di Adapt.
Qual è stata l’evoluzione della discussione in materia di chiusure domenicali? Come ha inciso il dibattito sul mercato del lavoro? Vediamo il percorso di un dibattito in parte ancora aperto.
Le origini della discussione: la liberalizzazione “Salva Italia” del 2012
Il dibattito sulle chiusure e aperture domenicali è relativamente recente: nel 2012 il governo Monti ha introdotto la liberalizzazione degli orari e dei giorni di apertura degli esercizi commerciali, con il decreto-legge n. 201/2011, noto come “Salva Italia”. L’obiettivo era di favorire la concorrenza, la crescita e l’occupazione nel settore, stimolando i consumi e la domanda interna, in un contesto di crisi economica e di calo delle vendite.
La norma ha abrogato le precedenti disposizioni regionali e comunali che regolamentavano le chiusure domenicali e festive, lasciando ai singoli esercenti la libertà di scegliere gli orari e i giorni di apertura, nel rispetto dei contratti collettivi nazionali e delle norme sul riposo dei lavoratori. Il decreto-legge ha anche previsto la possibilità per le regioni e i comuni di adottare misure restrittive, in presenza di motivazioni di carattere sociale, culturale, ambientale o di tutela del patrimonio storico-artistico.
La liberalizzazione ha avuto effetti diversi per differenti ragioni, come le tipologie di esercizi commerciali e i settori merceologici coinvolti. In generale, si è registrato un aumento delle aperture domenicali e festive, soprattutto da parte della grande distribuzione organizzata (GDO), che ha potuto sfruttare le economie di scala e la maggiore flessibilità organizzativa. Al contrario, i piccoli esercizi, soprattutto quelli situati nei centri storici e nelle aree periferiche, hanno subito una maggiore concorrenza e una riduzione dei margini di profitto, dovendo sostenere costi aggiuntivi per le aperture domenicali e festive, senza ottenere un incremento significativo dei ricavi.
Chi è pro e chi è contro nella questione
Soprattutto nella sua fase iniziale, la liberalizzazione degli orari ha portato a un certo grado di polarizzazione delle posizioni, a livello sia politico sia sociale.
Tra i sostenitori delle chiusure domenicali, si sono espressi in particolare i piccoli commercianti, rappresentati da associazioni come Confesercenti e Confcommercio, che hanno denunciato gli effetti negativi della liberalizzazione sul tessuto commerciale locale e sulla qualità della vita delle comunità.
La grande distribuzione, rappresentata per esempio da Federdistribuzione, si è invece schierata contro, sostenendo i benefici della liberalizzazione in termini di crescita, occupazione e libertà di scelta dei consumatori. La GDO ha difeso l’importanza di aprire nei giorni festivi, evidenziando il ruolo sociale e aggregativo dei centri commerciali, la maggiore convenienza e varietà dell’offerta, nonché la possibilità di soddisfare le esigenze di una domanda sempre più diversificata e dinamica.
I sindacati, da parte loro, hanno chiesto il rispetto dei diritti dei lavoratori, la garanzia di turni equi e volontari, la retribuzione adeguata e la partecipazione alle decisioni sulle aperture domenicali e festive.
Il parere di Alessandra Bergamo HR Director di MediaWorld
A proposito delle chiusure domenicali, vista la complessità del tema, abbiamo chiesto ad Alessandra Bergamo HR Director MediaWorld un commento.
Partendo dai temi a cui prestare maggiore attenzione ci siamo chiesti infatti quali siano i punti da tenere ben presenti oggi rispetto alle evoluzioni dalla normativa delle chiusure/aperture domenicali. “Guardiamo con attenzione alla proposta di legge in discussione per comprendere in quale reale direzione il legislatore voglia andare e con quale finalità” ha esordito Alessandra Bergamo: “Infatti, una decisione del genere impatta sugli equilibri fra commercio fisico e online in un contesto di omnicanalità, anche rispetto alle caratteristiche dei nostri negozi di prossimità e store presenti nei centri commerciali.
Un secondo aspetto da capire riguarda il compito che verrebbe affidato a comuni e regioni per identificare i giorni e le zone nelle quali gli esercenti possono derogare all’obbligo di chiusura domenicale e festiva. Questa opzione potrebbe generare criticità date da calendari locali che non sarebbero armonizzati con criteri coerenti tra le diverse zone d’Italia, causando ulteriori ripercussioni sulle differenze tra acquisti fatti online o nei negozi fisici.
Da ultimo, rileviamo che questa decisione avrebbe effetti anche sulla relazione tra domanda e offerta di lavoro; se da un lato si va verso la sostenibilità della vita privata, dall’altro potrebbero generarsi esuberi di personale e contestualmente anche impatti sul tasso di occupazione giovanile, poiché le aperture domenicali spesso consentono ai giovani di poter conciliare il lavoro con lo studio.”
E a proposito delle prospettive future invece, anche anche in relazione ai trend legati alle abitudini di consumo (acquisti online vs acquisti in negozio), Alessandra Bergamo ci ha spiegato:
“In MediaWorld abbiamo sviluppato da anni la nostra strategia sull’omnicanalità, dove online e offline sono completamente integrati e si completano a vicenda per offrire al cliente il servizio di cui ha bisogno. Spesso essere raggiungibili la domenica è un servizio fondamentale per il cliente che ha bisogno di scegliere, ritirare, acquistare o riparare un prodotto. In questi ultimi anni, infatti, abbiamo sempre più connesso il mondo online con quello offline, come dimostra il recente lancio del servizio “ritira gratis in negozio anche in 30 minuti” che aggiunge – all’immediatezza dell’acquisto online – la possibilità di ritirare il prodotto subito, in meno di 30 minuti, grazie alla nostra rete capillare di negozi fisici in cui è anche possibile ricevere ulteriore assistenza e servizi accessori. Bergamo prosegue poi con un’ulteriore riflessione:
“Un’eventuale chiusura dei negozi la domenica inoltre andrebbe a favorire i pure player ed indebolirebbe ancora di più il piccolo commercio locale, basato sulle interazioni sociali, in particolare chi non è dotato di sito e-commerce. I clienti del nostro settore vedono come cruciale la capacità di rispondere in maniera immediata ad un loro bisogno che può essere dato da una necessità immediata di acquistare un frigorifero che si è rotto, alla volontà di vedere, valutare con calma e provare subito un prodotto tecnologico che piace e che appassiona.
In un’ipotesi di chiusure festive e domenicali è certo che una parte di questi bisogni e/o desideri dei clienti non potranno più essere soddisfatti come stiamo facendo oggi. In estrema sintesi, mi auguro che chi definirà eventuali nuove regole consideri attentamente tutti quelli che potrebbero essere gli impatti, non solo sulla competitività dei negozi delle grandi e piccole realtà che operano sia nei centri città che nei numerosi parchi commerciali, ma anche sul mercato del lavoro, sulla sostenibilità dei ritmi di vita e sull’economia delle famiglie ed infine anche sulle aspettative di ognuno di noi in qualità di clienti, perché in questi ultimi 10 anni sono cambiate molto anche le nostre aspettative di poter accedere a prodotti, servizi e soluzioni per la nostra vita privata” conclude.
Il confronto internazionale: le chiusure domenicali in Europa e nel mondo
Anche in Europa la questione rimane piuttosto viva, considerando l’eterogeneità delle culture e delle leggi nazionali. Anche qui, però, la macro-divisione è tra una liberalizzazione totale o quasi e una regolamentazione più o meno rigida a seconda dei casi, con limiti alle aperture domenicali e festive.
A favore della liberalizzazione ci sono Paesi come il Regno Unito, la Svezia, la Norvegia, la Finlandia, la Polonia, la Romania e la Grecia. In alcuni casi, come il Regno Unito, le aperture domenicali sono state introdotte a partire dagli anni ’80 e ’90, gradualmente, sulla spinta delle pressioni di consumatori e associazioni di categoria.
Francia, Germania, Austria, Spagna, Portogallo e Ungheria, tra i tanti, hanno invece optato per una limitazione, più o meno forte, delle aperture festive, salvo per determinati periodi dell’anno, per determinati settori merceologici, per determinati orari o per determinate aree turistiche.
È evidente, anche dal confronto con altri Stati, che non esiste un unico e solo modello “giusto”: ogni Paese ha fatto una scelta sulla base delle proprie esigenze e della realtà locale, che con le sue spinte, reticenze e pressioni ha spesso guidato la discussione. Potrebbe accadere, a seconda degli sviluppi futuri, che anche in Italia si riaccenda il dibattito: e dopo oltre dieci anni di liberalizzazione, ora sarà forse possibile fare una buona stima dell’efficacia o meno di queste misure per le varie categorie.