Lavoro durante il lockdown: l’altro lato di Amazon
Un’inchiesta tra dipendenti ed ex del colosso dell’e-commerce fa emergere lo scontento tra gli addetti negli USA. È mancata soprattutto l’informazione, a differenza dei focolai nella logistica che si sono avuti in Italia. Da noi Amazon ha fatto accordi con i sindacati sul tema della sicurezza e sostenuto il personale della sanità in prima linea contro il coronavirus.
La pandemia non è stata uguale per tutti. Prendi Amazon, ad esempio. Ha fatto segnare risultati record nel secondo semestre 2020, dovuti non solo al boom dell’e-commerce ma anche alla crescita di altri servizi, come lo streaming online (Amazon Prime Video), che hanno incontrato i favori del consumatore confinato in casa nelle settimane della fase più acuta del lockdown. Nel secondo trimestre 2020, la società di Jeff Bezos ha avuto una crescita del fatturato del 40% a 88,9 miliardi di dollari e un utile netto trimestrale di 5,2 miliardi di dollari. L’utile più alto mai conseguito dalla società. Sono cresciuti del 29% anche i servizi in abbonamento, che generano un fatturato di 6,02 miliardi di dollari principalmente grazie ad Amazon Prime che conta 150 milioni di abbonati. Ma tutto questo a che prezzo?
C’è conflitto tra la priorità data ai clienti e la sicurezza di chi lavora. Mentre in Italia, dopo qualche tensione sindacale, la situazione si è risolta con un accordo tra Amazon e i sindacati per la sicurezza delle migliaia di persone impegnate nell’hub di Piacenza, negli Usa le cose sono andate diversamente. Almeno stando a quanto riportato da un’inchiesta di recode tra lavoratori ed ex dipendenti del colosso dell’e-commerce, intitolata “Il costo reale di Amazon”. Non sono mancati i dispositivi e le misure di protezione ma – raccontano – soprattutto l’informazione sul numero di addetti contagiati, a differenza di quanto avvenuto in Italia relativamente ai focolai nella logistica. Inoltre da quelle parti più che altrove si è vissuta con forza la contraddizione tra il lavorare in sicurezza durante il lockdown e dare priorità ai clienti e ai loro ordini crescenti. Che vuol dire anche non focalizzarsi solo sui prezzi bassi e ma ragionare anche sulla disponibilità dei clienti a pagare qualcosa in più o attendere qualche giorno in più a fronte di condizioni lavorative diverse. Un po’ il discorso fatto per i rider che consegnano il cibo nelle nostre case, ma va chiarito che i dipendenti di Amazon sono assunti con contratti firmati dai sindacati e non lavorano a cottimo. Eppure la domanda resta: è Amazon il modello? La pandemia ha accelerato, almeno negli Usa, la riflessione.
Non è la prima inchiesta sulle condizioni di lavoro in Amazon, ma la pandemia ha acceso i riflettori sull’azienda e compattato i lavoratori che hanno protestato apertamente e anche con petizioni pubbliche per ottenere migliori condizioni di lavoro, in chiave anti coronavirus, da quello che è il secondo datore di lavoro negli Usa (dopo Wal Mart). L’inchiesta giornalistica ha fatto emergere il lato b di Amazon, quello che non vediamo e che si mette in moto dopo i nostri clic.
Amazon ha smentito le ricostruzioni fatte da alcuni suoi dipendenti o ex ma durante la pandemia qualcosa è cambiato nell’opinione pubblica, se è vero che ci sono stati sondaggi tra gli stakeholder che hanno rilevato un peggioramento della reputazione del colosso di Jeff Bezos.
In Italia
Amazon, come molte altre imprese, si è impegnata direttamente nel contrasto alla diffusione del coronavirus, sia con attività verso i dipendenti (smartworking, premi ai dipendenti ecc.) sia sostenendo il personale sanitario in prima linea. Le attività messe in campo in Italia sono elencate in una pagina web dedicata. Tra le varie notizie anche quella sul come Amazon è riuscita a coniugare sicurezza sul lavoro e consegne nel rispetto dei tempi.
AWS
Siamo abituati a pensare ad Amazon solo come colosso dell’e-commerce. Ma non è così: all’interno della società di Bezos ci sono diverse divisioni che generano masse crescenti di ricavi. Tra tutte AWS, cioè Amazon Web Services: la divisione che offre servizi cloud. Nel 2019 ha generato ricavi per oltre 35 miliardi di dollari, con un trend di crescita impressionante negli ultimi sette anni.