Lavorare smart, lavorare bene

In Italia comincia a prendere piede lo smart working: secondo i dati del Politecnico di Milano, oltre il 36% delle grandi aziende ha già introdotto iniziative strutturate in tal senso. Più indietro Pmi e PA

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Anche in Italia avanza progressivamente lo smart working. È soprattutto nelle aziende di grandi dimensioni che questo tipo di “lavoro intelligente” – che consiste nell’operare slegati da un luogo fisico, decidendo il come e il dove a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati – sta prendendo piede.

Secondo i dati riportati nello studio Lo Smart Working in Italia, redatto dal Politecnico di Milano (PoliMi), su 206 grandi aziende interpellate il 36% ha già avviato iniziative strutturate in tal senso e il 9% prevede d’introdurne a breve. Nell’ambito dei progetti avviati, il 47% delle aziende ha attivato la possibilità per i dipendenti di lavorare anche da remoto, il 6% ha solo rivisto gli spazi in ottica di lavoro agile e il restante 47% ha attivato entrambe le nuove modalità di concepire il lavoro.

“Nell’ultimo anno le grandi aziende hanno confermato una maggiore consapevolezza relativamente allo smart working”, ha spiegato Massimo Palermo, Country Manager di Avaya, azienda all’avanguardia nella fornitura di soluzioni di comunicazione avanzata e membro dell’Osservatorio SmartWorking del PoliMi. “I vantaggi sono di immediata comprensione: si va dall’employer branding all’ottimizzazione degli spazi, dalla valorizzazione dei talenti allo sviluppo delle competenze digitali, con un aumento della produttività del 15%”.

Le cose stanno andando più a rilento nelle Piccole e Medie Imprese (Pmi) e nella Pubblica Amministrazione (PA) anche se in entrambi i settori si comincia a vedere un certo interesse verso lo smart working.

Dai dati prodotti dal PoliMi emerge che il 22% delle Pmi ha progetti di “lavoro intelligente”, ma di queste solo il 7% lo ha fatto con iniziative strutturate, un altro 7% non conosce il fenomeno e ben il 40% si dichiara “non interessato”, in particolare per la limitata applicabilità nella propria realtà aziendale. Tuttavia il 3% prevede di lanciare un’iniziativa entro i prossimi 12 mesi e il 12% è in generale possibilista in merito all’introduzione.

Va ancora peggio nella Pubblica Amministrazione. Nonostante gli sforzi a livello normativo (l’approvazione della legge nella primavera del 2017, le iniziative del Dipartimento Pari Opportunità e la direttiva della Riforma Madia) su un campione di 279 enti solo il 5% ha attivi progetti strutturati e un altro 4% pratica lo smart working informalmente.

“Come nel settore privato, nel pubblico sono gli enti di maggiori dimensioni i più propensi ad approcciare questo nuovo modo di lavorare: il 67% degli enti che dichiara di avere già iniziative, formali o informali, o di volerle introdurre entro i prossimi 12 mesi, occupa oltre 100 addetti”, ha commentato Mariano Corso, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Working. “Le iniziative presenti, però, molto spesso sono in fase sperimentale e vedono il coinvolgimento di una popolazione molto contenuta, di solo poche unità. Il gap maggiore con la grande impresa si riscontra nell’adeguatezza di dotazione tecnologica per il lavoro da remoto: solo il 58% degli enti pubblici ha una dotazione adeguata, contro l’88% delle grandi aziende”.

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