L’assenteismo in Italia? Tra i più bassi d’Europa, grazie alle PMI
E’ stato pubblicato recentemente il Barometro dell’assenteismo di Ayming.Ayming è una società internazionale che si occupa di consulenza nel campo della business performance
Per la prima volta la ricerca si è svolta a livello europeo e ha messo a confronto un fenomeno con cui spesso le direzioni HR convivono loro malgrado, dibattendosi su come affrontarlo. I protagonisti della ricerca sono stati sia gli hr director delle aziende, sia i lavoratori.
L’obiettivo infatti è proprio quello di misurare questo fenomeno inteso come sintomo, spesso, legato alla qualità del rapporto con l’azienda, di fiducia e quindi di motivazione. Altro focus di interesse della ricerca è mappare i diversi modi di intervenire per ovviare a questo problema e valutarne l’efficacia. Se si considera l’impatto economico che questo fenomeno comporta è evidente la necessità di trovare buone prassi che garantiscano, se non la soluzione, almeno il suo contenimento.
I risultati sono in parte sorprendenti: l’Italia, ad esempio, sembrerebbe avere i dati migliori di altri su cui non pesano i soliti pregiudizi riservati al bel paese. La Francia ha un tasso di assenteismo che si aggira attorno al 7% mentre noi arriviamo al 5,49%, peraltro mantenendo stabile questo dato al contrario di quanto accade agli altri. Sempre in Italia questo tasso ha delle oscillazioni significative in relazione alle dimensioni delle aziende: tanto è minore tanto si abbassa il tasso di assenteismo, prevalendo il senso di responsabilità e di insostituibilità della propria funzione.
Ciò che emerge dallo studio sono le differenze di percezione, valutazione e qualificazione del fenomeno. Sorprendentemente non esistono parametri comuni e sistemi uniformi di classificazione.
Sotto la voce assenteismo, infatti, i ricercatori si sono accordi che, ad esempio in Italia, vanno a finire assenze quali l’infortunio, la malattia o i congedi parentali ed altre voci simili. Un’assimilazione di fenomeni così diversi si ritiene sia imputabile alla particolare cultura nazionale, che propende a premiare il prensentismo.
Dal punto di vista degli interventi poco più della metà degli HR director intervistati in Italia ha dichiarato di aver messo in atto delle azioni per correggere il fenomeno e prevalentemente solo nell’ultimo anno, a dimostrazione di quanto detto prima sulla propensione a convivere con il fenomeno anche quando ha dimensioni patologiche.
Per quanto riguarda invece il punto di vista dei lavoratori si riscontrano anche qui le discrepanze di classificazione di cui si diceva e un aspetto che è stato indagato è stata proprio la correlazione tra insoddisfazione e assenteismo che ovviamente ha trovato conferme anche per quanto riguarda i motivi di assenza di coloro che sono invece soddisfatti. Stato di salute e situazioni famigliari sono al primo posto.
Un ultimo aspetto che è stato indagato dalla ricerca fa riferimento ai motivi che potrebbero migliorare i livelli di soddisfazione dei collaboratori. Nell’elenco troviamo voci quali il miglioramento del contenuto del proprio lavoro, la flessibilità lavorativa e le relazioni umane. Queste sono voci che hanno trovato riscontri in tutti i paesi europei oggetto della ricerca.
Ancora una volta si conferma quindi la necessità di un costante e maggiore investimento attorno a questi temi: l’ascolto dei lavoratori permette di orientare gli sforzi dell’organizzazione la dove sono le reali aspettative degli stessi e già questo livello di coinvolgimento muove energie e volontà. In situazioni dove la comunicazione è opaca o assente, il middle management poco coinvolto su i temi della gestione delle risorse umane, i motivi delle assenze banalizzati, la possibilità che il fenomeno assuma dimensioni importati è molto alta.
Il Barometro dell’assenteismo lo ha ribadito. Alle aziende ora il compito di tradurre argomenti evidenti, in azioni efficaci, per il loro stesso interesse.