La sfida dell’attraction per superare lo shock del “candidate shortage”

Per le imprese è sempre più difficile trovare candidati: “Siamo in una situazione senza precedenti”, commenta Alessandro Nodari, Candidate Management Senior Director di Gi Group. “In questo scenario per trovare le giuste figure professionali servono strategie complesse che tengano conto dei nuovi paradigmi”.

Alessandro Nodari

Da una parte, la crisi energetica, che riempie le pagine della cronaca, dall’altra una crisi, uno shock di cui si parla meno. Quello che riguarda i talenti, le competenze che non si trovano e, quindi, i posti di lavoro che restano senza candidati. Una questione di grande rilevanza, destinata ad esserlo sempre di più in un contesto in cui sono le persone a fare la differenza. Ne abbiamo parlato con Alessandro Nodari, Candidate Management Senior Director di Gi Group, la prima agenzia per il lavoro a capitale italiano.

Prima di entrare nel merito del tema, ci spiega di cosa si occupa in Gi Group?

Sono responsabile del dipartimento “candidate”. Ci occupiamo di attrarre candidati che andranno a lavorare nelle aziende clienti.

Perché oggi c’è bisogno di mettere in atto strategie complesse di attrazione delle persone? Non arrivano più i curricula  inviati da chi cerca lavoro?  Come è cambiato lo scenario?

La situazione in cui ci troviamo vede una fortissima sperequazione tra domanda e offerta di lavoro. Schiettamente: non ci sono persone da attrarre nelle imprese e con la pandemia la situazione si è accentuata. La candidatura spontanea appartiene al passato, oggi bisogna cercare le persone, avere proposte adeguate e una strategia di employer branding all’altezza.

Quanto è profondo questo fenomeno?

Le rispondo con i numeri ricavati da nostre analisi interne dell’ultimo anno: i rifiuti dopo l’accettazione di un’offerta di lavoro sono passati dal 10% al 40%. Non è una bella situazione per un’azienda che dopo aver formulato delle offerte e averle viste accettate, dovrà gestire il rifiuto di 4 su 10 e dovrà, quindi, ricominciare tutto il processo di selezione. D’altra parte, le controfferte delle aziende ai propri dipendenti intenzionati a cambiare organizzazione sono raddoppiate: dal 30% di un anno fa al 60% di oggi. Un ultimo numero, di Linkedin, per delineare il cambiamento di scenario: rispetto al 2019, i candidati scorrono il doppio delle offerte di lavoro prima di inviare un curriculum, cioè un’azienda che mette un annuncio riceverà metà delle candidature rispetto a tre anni fa.

Ma parliamo solo di figure professionali top o specializzate o è un fenomeno generalizzato?

Parliamo di un fenomeno diffuso, fortemente accentuato negli ultimi 18 mesi e riferito a tutte le figure professionali. Quello che noi definiamo “grande shortage” riguarda sia le figure specializzate che quelle unskilled, senza particolari competenze. È una caratteristica trasversale a tutto il mercato del lavoro.

Cosa rende attrattivo un posto di lavoro? Cosa emerge dalle vostre analisi sul mercato del lavoro?

A tal proposito, basta confrontare le priorità dei candidati oggi e prima della pandemia, in Italia. Nel 2020, l’ordine era questo: stipendio e benefit, possibilità di far carriera e work life balance.

Oggi cosa è cambiato?

Nel 2022 il podio si è completamente ribaltato. Chi ha intenzione di cambiare lavoro mette al primo posto il work life balance, al secondo la possibilità di carriera, al terzo il pacchetto compensation e benefit.

Cosa vuol dire?

Se un’impresa vuole essere attrattiva non può limitarsi a logiche economiche, ma deve avere offerte articolate, che tocchino diversi ambiti della vita delle persone. Tenendo in considerazione anche differenze anagrafiche: i più giovani, ad esempio, sono molto sensibili ai temi della responsabilità sociale d’impresa…L’annuncio di lavoro, l’AAA Cercasi che fino a un po’ di anni fa era una commodity, oggi è un elemento di comunicazione. Dai nostri dati vediamo che annunci ben formulati, con le necessarie indicazioni e informazioni, generano un numero di candidature maggiore dell’80%-100%, rispetto ad annunci vecchio stampo. Diciamo che il tema della ricerca dei candidati è molto più complesso ed è evidente che oggi sono i candidati ad avere più potere decisionale, non l’azienda.

Nelle imprese c’è consapevolezza di questo scenario e della necessità di modificare le proprie strategie di ricerca delle persone?

C’è una situazione a macchia di leopardo. Noi abbiamo un prodotto di employer branding che proponiamo alle aziende che cercano candidati: dai contatti che abbiamo con le imprese possiamo dire che le grandi sono più attrezzate e stanno affrontando il cambio di paradigma, le piccole hanno più difficoltà.

In che senso?

Le faccio un esempio: alcuni piccoli imprenditori ci guardano straniti e non si capacitano quando suggeriamo, per un’offerta di lavoro, di mettere in evidenza l’employee value proposition. L’offerta di lavoro non basta più, non nella situazione di candidate shock che stiamo vivendo.

A cosa è dovuto?

L’Italia l’anno scorso è cresciuta del 6%, un dato mai registrato dal dopoguerra, e la talent shortage è figlia anche di questa crescita.

Parliamo della vostra proposta alle imprese. Qual è il valore aggiunto che portate?

Il punto di partenza è l’analisi sui profili che l’azienda sta cercando, attraverso un assessment approfondito: un po’ di mesi fa tutte le imprese erano a caccia di profili digital ma, analizzando i loro bisogni, ci siamo resi conto che non sempre si trattava della figura giusta per le loro esigenze. Punto secondo: nel momento in cui è stato individuato il profilo, bisogna capire dove lo si va a cercare, dai social alle community online. In questa fase avviamo un’attività di attraction che coniuga competenze HR con quelle del marketing e della comunicazione. Aiutiamo le aziende a raccontare i propri valori agli occhi del candidato che sta cercando. Molte realtà hanno al proprio interno dei veri e proprio tesori, dai percorsi di carriera alle academy, che non valorizzano quando sono alla ricerca di candidati. Fino a poco tempo fa non ne avevano bisogno, oggi lo scenario è diverso.

Negli ultimi anni c’è stata questa grossa ubriacatura sul digital, ma l’algoritmo non è la soluzione a tutti i problemi…

In piena pandemia c’è stato un vero e proprio boom del digital, anche come canale di attraction, con l’illusione che fosse sufficiente. Poi ci siamo resi conto che, per la ricerca di alcune figure professionali, è necessario stare sul territorio, cioè fare eventi fisici o incontri nelle filiali. Il digital è importante, ma da solo non basta perché la competizione è troppo forte.

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