La persona al centro del Fondo Nuove Competenze
L’importanza strategica del capitale umano per la crescita del Paese e per la transizione ecologica, il ruolo dei fondi paritetici, il supporto al lavoro, il passaggio da occupazione a occupabilità. Le novità della nuova edizione del Fondo spiegate dalla presidente di Anpal Servizi Cristina Tajani, che ha aperto i lavori del Salone della Formazione.
La formazione del capitale umano è la chiave di volta per vincere le sfide dell’economia e accompagnare la trasformazione del Paese. Il Fondo Nuove Competenze, recentemente rifinanziato con 1 miliardo di euro, è il principale strumento per le imprese e per rendere le persone protagoniste del proprio futuro. Sono i temi al centro dell’intervista alla presidente di Anpal Servizi, Cristina Tajani. È stato il suo intervento ad aprire i lavori del Salone della Formazione, promosso da HR Link.
In una fase in cui dominano tecnologie e algoritmi, qual è la rilevanza dello sviluppo del capitale umano per la competitività del Paese?
Il capitale umano e il suo sviluppo e aggiornamento – soprattutto alla luce dell’evoluzione delle tecnologie e di fronte alle sfide che il cambiamento climatico impone – è oggi il vero driver della competitività, soprattutto in considerazione della struttura della nostra economia, che si basa su decine di migliaia di piccole e medie imprese, responsabili, da sole, del 41% dell’intero fatturato generato in Italia, del 33% dell’insieme degli occupati del settore privato e del 38% del valore aggiunto del Paese. La pandemia ha evidenziato l’assoluta centralità del capitale umano nelle strategie imprenditoriali, ma da sempre la competitività della nostra industria è connessa al saper fare e al know how delle persone.
Che tipo di necessità hanno le imprese in materia di reskilling e upskilling? In che modo si può rispondere a queste esigenze?
Oggi stiamo assistendo a una crescente presa di coscienza sulla necessità di essere preparati ad affrontare il cambiamento e a saper utilizzare prontamente strumenti innovativi e digitali, per garantire alle imprese proprio competitività e sviluppo. La domanda di nuove competenze, e quindi nuovi set di fabbisogni formativi, è continua e riguarda tutti i settori, a prescindere dalle dimensioni del business e dal settore economico di riferimento.
Parliamo del Fondo Nuove Competenze, recentemente rifinanziato con 1 miliardo di euro. Rispetto alla prima edizione ci sono diverse novità, quali sono le ragioni di fondo che hanno portato a questi cambiamenti?
Se la prima edizione del Fondo aveva al centro le aziende, e le loro esigenze formative in via prioritaria, il nuovo decreto in uscita a ottobre mette al centro le persone. L’aggiornamento delle competenze deve riguardare processi di innovazione aziendale – individuati nelle intese sindacali – per la transizione digitale ed ecologica, e devono condurre a un adeguamento strutturale delle competenze dei lavoratori delle aziende coinvolte. Le competenze acquisite devono poi essere chiare e individuabili nelle classificazioni internazionali oppure nelle articolazioni regionali del Repertorio nazionale dei titoli di istruzione e formazione e delle qualificazioni professionali, oppure in quelle previste nell’Atlante del lavoro. In questa difficile fase abbiamo assistito alla crescita di alcuni settori, ci sono state aziende in grado di innovarsi e cogliere le opportunità, mentre altre, al contrario, si sono fermate. Ora, se vogliamo ripartire e offrire reali opportunità di crescita agli italiani, in particolare ai giovani e alle donne, è fondamentale una capacità di visione per regolare tutti gli ambiti della vita sociale ed economica.
Nel Fondo è prevista una premialità per le imprese che rimodulano l’orario a parità di lavoro. Quali le finalità di questa scelta?
Come ormai è evidente a tutti, la nuova economia è sempre più caratterizzata da concetti quali: innovazione, incertezza, tecnologia, intelligenza artificiale, sicurezza sanitaria (e non), creatività, robotica, algoritmi, sostenibilità ambientale, big data, global value chains, riorganizzazioni societarie, ma anche global finance, multiculturalità, resilienza, flessibilità strategico-organizzativa, solo per citarne alcuni. Se l’aggiornamento del capitale umano è la strada da seguire, la messa a terra dei processi formativi aziendali e dell’aggiornamento delle competenze sta anzitutto nella flessibilità non solo delle menti, ma anche dei processi aziendali, in primo luogo quelli che competono all’organizzazione del lavoro di cui l’orario non è più il parametro principe.
In questa edizione del Fondo c’è un maggiore coinvolgimento dei fondi paritetici, con quali obiettivi?
Oggi assistiamo a un sostanziale disallineamento tra la formazione erogata e quella non erogata dai fondi interprofessionali; il rimando alle certificazioni internazionali ed europee, e la richiesta di competenze certificate che devono essere alla fine riconosciute alle singole persone, è un serio tentativo di riordino dell’universo della formazione. Non è un caso che a differenza della prima edizione l’attività formativa non potrà essere erogata dalla stessa impresa che ha presentato la domanda di contributo.
Siamo in una fase difficile per l’economia, a causa del caro energia e delle tensioni provocate dalla guerra. Il Fondo può avere anche la finalità di essere da sostegno all’occupazione?
Così come per il periodo pandemico il FNC ha consentito di affrontare le crisi aziendali senza dover ricorrere a riduzione di personale, ma convertendo il tempo lavorativo in occasione formativa. La nuova edizione del Fondo si inserisce nel programma GOL, Garanzia di occupabilità dei lavoratori, che attraverso cinque diversi percorsi consentirà a tutti di restare all’interno del mondo del lavoro. Il cambio di paradigma, da occupazione a occupabilità, è fondamentale anche perché mette al centro la persona. Solo lavorando concretamente sul miglioramento del proprio background di competenze ogni individuo può diventare realmente protagonista del proprio futuro.
In questa edizione del Fondo c’è una forte focalizzazione sulle tematiche Green e del Pnrr, come può la formazione contribuire allo sviluppo strategico del Paese?
Il secondo pilastro delle azioni contenute nel PNRR è quello della transizione ambientale, che ha effetti diretti potenzialmente molto rilevanti sull’occupazione e che dovrebbe avere un impatto trasversale su varie fasce della popolazione. Diverse ricerche dimostrano che la transizione implicherà importanti riconversioni industriali, mettendo in certi casi fine ad alcune funzioni. svolte da lavoratori a vantaggio di nuove funzioni e nuove produzioni. Questa transizione deve essere accompagnata da una riqualificazione delle competenze dei lavoratori stessi affinché non generi sacche di disoccupazione di massa, magari proprio tra i lavoratori meno qualificati oggi impegnati in mansioni usuranti e inquinanti. L’International Labour Organization (ILO) delle Nazioni Unite ha stimato una crescita netta di posti di lavoro pari a 18 milioni entro il 2030, derivante dalla transizione ambientale che ha come obiettivo quello di limitare l’innalzamento della temperatura globale in modo che non superi i 2°C entro la fine del secolo. Una cifra che sarebbe data da 24 milioni di nuovi lavori e dalla perdita di 6 milioni di posti. Questi numeri dovrebbero essere sufficienti per comprendere come siano strettamente correlati PNRR, strategie Green e futuro del nostro Paese.