La parità salariale diventa legge, ecco la certificazione per l’uguaglianza sul lavoro
Dopo l’ok della Camera, semaforo verde anche da Palazzo Madama, che approva le modifiche al codice sulle pari opportunità in ambito lavorativo, a firma della deputata Chiara Gribaudo.
Incentivi per incrementare la presenza femminile nel mercato del lavoro e ridurre il gender pay gap. Dopo l’approvazione all’unanimità del testo unificato da parte della Camera, lo scorso 13 ottobre, anche il Senato ha espresso parere favorevole sulle modifiche al codice delle pari opportunità tra uomo e donna in ambito lavorativo.
La legge, firmata dalla deputata del Pd Chiara Gribaudo, introduce la nozione di discriminazione indiretta, che include tutti gli atti di “natura organizzativa o oraria” che sfavoriscono le donne, generando “limitazione delle opportunità di partecipazione” e creando ostacoli alla carriera. A essere passibili di sanzione sono i trattamenti che “in ragione del sesso, dell’età anagrafica, delle esigenze di cura personale o familiare, dello stato di gravidanza nonché di maternità”, anche adottiva, possono porre la lavoratrice in “posizione di svantaggio”.
Per prevenire questi fenomeni, la disciplina prevede l’ampliamento dell’obbligo di redazione del rapporto sulla situazione del personale alle imprese con più di 50 dipendenti, sia pubbliche che private (al posto dell’attuale soglia di 100 dipendenti, come accade oggi), oltre a nuovi strumenti per favorire la conciliazione tra lavoro e vita privata. Estende inoltre alle aziende pubbliche le previsioni della legge Golfo-Mosca sulle “quote rosa” negli organi collegiali di amministrazione.
A partire dal primo gennaio 2022, poi, sarà istituita la certificazione della parità di genere, pensata affinché i datori di lavoro riducano il gap tra uomini e donne sotto il profilo dell’evoluzione di carriera in azienda, sia dal punto di vista salariale che di mansioni. La certificazione consentirà uno sgravio contributivo dell’1%, nel limite di 50 mila euro all’anno, per ciascuna azienda virtuosa: subentreranno poi i Dcpm a definire con precisione i parametri dello strumento.
Un passo fondamentale se si considera che, secondo i dati dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani, raccolti da Università Cattolica, la differenza nello stipendio netto mensile tra uomini e donne a cinque anni dalla laurea è di oltre 500 euro – 1.969 contro 1.403 euro – e il divario aumenta all’aumentare del livello di istruzione, posizionandoci tra i Paesi europei con il gap più accentuato (43%), secondi solo a Paesi Bassi e Austria (44,2%), a fronte di una media UE del 36,7%. Non a caso, già dallo scorso marzo, la Commissione europea si è mossa presentando una proposta di direttiva per rafforzare la parità retributiva di genere, con una maggiore trasparenza e un migliore accesso alla giustizia.
La direttiva, ancora da approvare, si presenta più stringente rispetto alla legge italiana appena approvata, ma ciò nonostante l’ok del Senato indica che una direzione è stata intrapresa. Il segretario del Pd Enrico Letta ha parlato di «grande conquista» e anche il Movimento5stelle ha definito il provvedimento un «segnale a donne e imprese». «Dobbiamo fare in modo che tutte le donne possano ricevere il rispetto dovuto e il trattamento appropriato alla loro posizione», sono le parole della deputata Murelli (Lega), mentre Ruffino (Coraggio Italia) ha definito il risultato un «messaggio di uguaglianza»; un «traguardo importante» secondo Fi e «passo necessario» per la Cgil.