Intentional learning, quando la formazione stimola un apprendimento consapevole
Quando si tratta di formazione digitale, il discorso cade di solito su argomenti quali il software scelto o i dispositivi a disposizione. Ma altrettanto fondamentale è il modo in cui le persone si pongono nei confronti dell’apprendimento. Se vengono a mancare l’attenzione, la consapevolezza e lo spazio mentale per riflettere su quanto si è appreso, nemmeno il cluster digitale meglio progettato potrà dare i risultati desiderati. È quello che gli anglosassoni chiamano intentional learning, ovvero la pratica di avvicinarsi a ogni situazione – una riunione, una telefonata, la stesura di un report, la partecipazione a un evento – con l’intenzione di trarne un apprendimento, mettendo in campo curiosità, apertura alle nuove idee, capacità di fare connessioni. Una modalità di apprendimento che può essere facilitata e stimolata con i giusti strumenti. Ne abbiamo parlato con Edoardo Gironi, Ceo di APPrendere.
L’apprendimento negli esseri umani è governato da un principio talmente lapalissiano da apparire quasi paradossale: noi impariamo solo intenzionalmente. Ovvero, possiamo apprendere anche inconsapevolmente, ma finché non ci accorgiamo di aver appreso e che qualcosa nei nostri comportamenti e nei nostri pensieri è cambiato, finché non riusciamo a riprodurre e a riformulare ciò che abbiamo imparato, non possiamo affermare di aver appreso. «Oggi, chi fa formazione ha a disposizione una serie di nuove tecnologie e di nuovi approcci per trasferire la conoscenza. Ne è un esempio la formazione digitale, che non va confusa con l’e-learning però» a parlare è Edoardo Gironi, Ceo di APPrendere e professore universitario, che prosegue: «Post sui social, video su youtube, articoli su web, podcast: la formazione digitale usa tutti gli strumenti che ha a disposizione per convogliare apprendimento. Il tutto con la possibilità per ognuno di gestire le proprie tempistiche di apprendimento e andare a cercare il sapere quando ne sente la necessità. Non solo: ogni learner ha non solamente tempistiche, ma anche modalità d’apprendimento differenti – chi è più visivo, chi più uditivo, chi preferisce un testo scritto e così via –. Ça va sans dire che, se l’azienda deve fornire gli strumenti, la curiosità del discente va sollecitata, in modo che sia motivato ad apprendere».
Il concetto di “intentional learning” sembra quasi l’evoluzione di un altro concetto oggi più che mai attuale, quello di “life-long learning”: è d’accordo?
«A mio parere il concetto di life-long learning è ormai obsoleto perché banale: noi apprendiamo sempre! La differenza è che negli ultimi due anni abbiamo consapevolizzato questo processo. Io parlerei più di “life-wide learning”: l’ambito di apprendimento si allarga e sono molteplici le situazioni che impattano sulla nostra vita e sui nostri comportamenti. Un altro concetto interessante è quello di “unlearning”: devo disimparare quello che so per impararlo in una nuova modalità, poiché qualcosa che già so potrebbe non essere più valida. Disimparare per imparare con nuove modalità: questo è utilissimo anche nel caso di pregiudizi o di convinzioni errate» spiega Gironi.
Quali soft skill vanno allenate per diventare un learner intenzionale?
«Innanzitutto bisogna sviluppare la curiosità – che secondo me è la dote fondamentale – e non dare nulla per scontato; poi bisogna essere adattabili. Bisogna inoltre essere aperti e guardare le cose continuando a mettere in discussione ciò che sappiamo, chiedendoci se quello che sappiamo è ancora valido o se c’è una modalità diversa di fare le cose.
È utile anche imparare a stare fuori dalla comfort zone, dove ho la sensazione di avere tutto sotto controllo e dove sono in grado di predire ciò che succederà. Oltre la comfort zone inizia la learning zone, dove sono costretto a vedere le cose in maniera differente: attenzione però a non spingersi troppo oltre, altrimenti si arriva nella panic zone, dove la paura immobilizza e rende irrazionali».
La formazione in aula si sta adeguando alle nuove modalità di apprendimento?
«Sì: anche la formazione in aula sta andando verso il superamento del modello tradizionale che vedeva un mero processo di trasferimento della conoscenza da docente a discente: ora anche l’aula diventa un momento di condivisione e di confronto, dove sia docente sia discente sono aperti a nuove esperienze condivise».
Come cambiano le tempistiche di apprendimento?
«Chi eroga la formazione genera una serie di strumenti e di opportunità formativi che saranno a disposizione quando il learner penserà di averne bisogno: sarà la persona a decidere i tempi, le modalità di accesso e i momenti di apprendimento; per questo possiamo parlare anche di personalizzazione dell’apprendimento» conclude Gironi.