Cosa succede se si infortuna lo smart worker?

Con l’aiuto di un esperto del lavoro, Sergio Alberto Codella, avvocato giuslavorista, partner di Orsingher Ortu Avvocati Associati, conosciamo meglio la casistica di infortunio in smart working, approfondendo diversi aspetti tra i quali anche il caso in cui il dipendente si trovi all’estero

infortunio in smart working

Entriamo nel vivo del tema chiedendo all’avvocato giuslavorista Sergio Alberto Codella, partner di Orsingher Ortu Avvocati Associati, cosa prevede la normativa sullo smart working in caso di infortunio del lavoratore: “L’art. 23 della legge 81/2017 estende il diritto alla tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali anche ai lavoratori agili’ chiarisce subito Codella, che approfondisce: “Inoltre, al comma 3 della medesima disposizione, è specificato che lo smart worker ha diritto alla tutela contro gli infortuni sul lavoro anche se questi si verificano durante il percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello prescelto per lo svolgimento della prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali”.

“La normativa – continua Codella – fugando alcuni dubbi sorti in epoca precedente alla sua entrata in vigore, ha quindi chiarito che è indennizzabile anche l’infortunio in itinere del lavoratore agile, ma viene espressamente esclusa l’ipotesi di indennizzabilità in caso di cosiddetto rischio elettivo, ossia del rischio derivante da un comportamento volontario del lavoratore, abnorme e svincolato da qualsiasi caso di forza maggiore, in conseguenza del quale si è verificato un infortunio sul lavoro”.

Qual è il ruolo e quali le responsabilità del datore di lavoro?

“Con la circolare 48/2017 è intervenuta l’Inail, equiparando i lavoratori agili a quelli che operano all’interno dei tradizionali uffici, senza tuttavia risolvere la questione dei confini della responsabilità datoriale per la salute e sicurezza del lavoratore all’esterno dei luoghi di lavoro, dato che la prestazione di lavoro potrebbe potenzialmente essere svolta, oltre che all’interno della propria abitazione, in spazi di coworking, in luoghi pubblici oppure aperti al pubblico.

Non essendo, quindi, possibile pretendere dal datore di lavoro l’esercizio di un controllo sul luogo esterno scelto dallo smart worker, per garantirne la sicurezza, nell’incertezza del dato normativo, è ragionevole limitare il perimetro degli obblighi in capo al datore ai soli adempimenti che questi è in grado di porre in essere al fine di evitare la configurabilità di fattispecie di responsabilità oggettiva. Al riguardo appare fondamentale il rispetto degli annuali obblighi informativi in materia di salute e sicurezza previsti dall’art. 22, della legge 81/2017, attraverso i quali sono individuati i rischi generali e specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro”.

Cosa cambia se il lavoratore si trova all’estero nel momento dell’infortunio?

“Sempre più spesso è lo stesso dipendente a chiedere di svolgere la propria attività di lavoro agile dall’estero. Il primo dubbio da risolvere è relativo al fatto se questo sia (o meno) ammissibile. La possibilità (almeno in astratto) di poter svolgere lavoro da remoto dall’estero trova conferma, da un lato, nella sottoscrizione, nel dicembre 2023, da parte del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali del Framework Agreement on the application of Article 16 of Regulation No. 883/2004 in cases of habitual cross-border telework (che, a determinate condizioni, permette allo smart worker che lavora all’estero di far versare la contribuzione sociale nello Stato in cui risiede il datore) e, dall’altro, in una serie di interventi da parte dell’Agenzia delle Entrate (tra cui la circolare 25/E del 18 agosto 2023) che mirano a offrire chiarimenti e soluzioni su come gestire i profili fiscali in caso di lavoro da remoto svolto in Paesi stranieri”. Da ciò si deduce che lo svolgimento dello smart working dall’estero non possa ritenersi vietato.

Se questo è vero, però, è altrettanto vero che permangono tantissime incertezze operative proprio con riferimento ai temi della salute e sicurezza sul lavoro. Se, infatti, il datore di lavoro ha l’obbligo di offrire informativa (e semmai formazione) sui rischi specifici legati alle modalità ma anche ai luoghi di svolgimento del lavoro, tali obblighi potrebbero essere estesi anche alla particolare situazione politica, sociale, climatica e sanitaria di quel Paese estero, con soluzioni operative complesse per il datore.

Inoltre, mentre la disciplina nazionale sancisce l’obbligo di garantire che l’esecuzione della prestazione lavorativa avvenga in condizioni di salvaguardia anche del trattamento dei dati e delle informazioni datoriali (e dei clienti dell’azienda), non è affatto ovvio che sia possibile offrire conferma di ciò in Paesi stranieri.

Le incertezze operative più importanti, poi, sono quelle legate alla “gestione” di un eventuale infortunio di un lavoratore agile occorso all’estero, in quanto essa appare di non facile soluzione, né di esito scontato, rispetto alla indennizzabilità dell’evento”.

Molte aziende decidono – comprensibilmente – di vietare lo smart working all’estero proprio per evitare che si possano verificare situazioni di “vuoto” normativo in caso di infortunio, non essendoci a oggi, come lei conferma, delle chiare e univoche soluzioni volte a sciogliere i dubbi in materia. Quali misure possono quindi adottare le aziende per tutelare se stesse e i lavoratori?

“Mentre nel caso di infortuni che si verificano sul territorio nazionale la disciplina legale appare aver fugato i dubbi più importanti in tema di lavoro agile, con una normativa sostanzialmente tranquillizzante per le imprese, atteso che si è ampliato il perimetro di tutela fino a includere anche l’infortunio in itinere, assai più incerto appare il panorama in caso di smart working all’estero. Infatti, gran parte dei datori continua a vietare lo svolgimento di smart working dall’estero non tanto per i profili fiscali (complicazioni che certamente sussistono, ma su cui sono state offerte delle soluzioni dagli enti preposti), ma soprattutto per evitare vuoti di tutela in caso di infortuni, su cui non sembrano esservi stati a oggi veri interventi chiarificatori. 

In caso di aziende che volessero comunque garantire lo smart working all’estero, sembra quindi opportuno stipulare polizze assicurative integrative, che garantiscano specificamente una copertura in caso di sinistro”.

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