«Il mercato del lavoro in questo momento è unico: i tassi di ricollocazione sono alti e le persone che cercano sono molto spesso dei talenti»
Questa l’opinione di Cristiano Pechy de Pechujfalu, presidente di AISO, l’Associazione Italiana delle Società di Outplacement, che dal suo osservatorio evidenzia da parte delle imprese un maggiore interesse ad assumere, piuttosto che a ridurre il personale.
«Se consideriamo le società di recruitment come un termometro del mercato del lavoro, possiamo cominciare a guardare con fiducia al futuro. Dall’inizio dell’anno le ricerche di personale sono aumentate significativamente, molte si stanno concludendo positivamente e alcune agenzie stanno incrementando il business fino al 50% rispetto alla prima metà del 2020». A sottolineare questo dato è Cristiano Pechy de Pechujfalu, presidente di AISO, l’Associazione Italiana delle Società di Outplacement, che parla anche dei tassi di ricollocazione.
Come sono andate le cose in questo senso?
«I tassi di ricollocazione si sono mantenuti alti durante l’intera emergenza Covid e sono in continua crescita fin da settembre 2020; in alcune situazioni si è visto un incremento per raggiungere picchi superiori al 90%. Il mercato è unico in questo momento».
Il ragionamento vale per tutte le società di outplacement?
«Come AISO abbiamo un osservatorio speciale sulle principali undici società che operano in Italia e vediamo un incremento omogeneo in tutti i membri dell’Associazione. Tuttavia, questo strumento è ancora poco utilizzato ed evidentemente dobbiamo imparare a comunicare meglio i benefici che l’Outplacement porta a tutto il mondo del lavoro: un alto tasso di ricollocazione implica minori costi per lo Stato in termini di sussidi, una maggiore professionalità della nostra forza lavoro, un incremento della competitività delle aziende che operano in Italia e, soprattutto, il benessere dei nostri cittadini. È tutto collegato».
Diceva che il mercato oggi è unico. Cosa intende?
«Intendo dire che in questo momento il mercato del lavoro è particolarmente florido e, tendenzialmente, tra le persone che oggi si mettono alla ricerca del lavoro ci sono numerosi talenti».
In base a cosa lo afferma?
«I rapporti professionali chiusi durante l’emergenza Covid sono circa un milione e duecentomila. La maggior parte delle persone che hanno interrotto un rapporto di lavoro oggi beneficia ancora di un sostegno economico. Purtroppo, abbiamo notato che diverse persone, nel periodo estivo, hanno posticipato l’attivazione del servizio di outplacement pur avendone diritto: evidentemente in questi casi c’era la possibilità economica di non rimettersi immediatamente alla ricerca di un nuovo lavoro. Per cui sul mercato è emerso chi si è mosso perché veramente motivato, o economicamente o professionalmente: in entrambi i casi la motivazione a rimettersi in gioco era alta e questo è molto importante nel recruitment».
I talenti, insomma, hanno beneficiato dell’incentivo all’esodo…
«Effettivamente sono numerosi coloro che hanno approfittato di questa opportunità e hanno fatto bene. Oggi c’è una ricerca di talento unica nel mercato. Ci sono società che ci riferiscono di dover assumere 4 mila persone in un anno e di non riuscire a trovare talenti. Parlo di società che non sono alla ricerca solo di giovani, ma anche di over 50, con un buon bagaglio di competenze. Oltre tutto queste figure cercano anche opportunità di lavoro che permettano una certa flessibilità per dedicare del tempo a se stessi».
Mancano anche gli STEM…
«Parliamo di oltre 100mila Stem che non si trovano, di cui c’è necessità. Mi preme puntualizzare che la ricerca vale anche per settori non considerati convenzionalmente scientifici o tecnologici. Faccio un esempio: oggi anche la gestione di un museo è digitale e sono resi digitalmente anche i percorsi museali. Quindi sono necessarie figure che associno a una competenza molto forte dal punto di vista artistico e storico, un’attitudine digitale. Ma il discorso vale anche per altri ambiti: ad esempio, in molte località turistiche di mare, questa estate, le prenotazioni erano solo digitali. L’ambiente digitale è ormai caratteristico di ogni settore. Questo fa sì che ci sia necessità sia di figure junior che senior, rispettivamente più inclini a settori diversi tra loro: se i senior sono più attenti ai servizi per la casa, le figure junior sono particolarmente proiettate verso l’esterno. I dati Istat confermano questa controtendenza sul mercato del lavoro».Ovvero?
«Stiamo vivendo un’ondata positiva. Noi non ci aspettavamo un cataclisma occupazionale e infatti non si è verificato. Certo, qualche settore, come ad esempio la piccola ristorazione, ha accusato più di altri, ma tutti hanno beneficiato dei ristori e inoltre stanno arrivando capitali dall’estero: l’ultimo trimestre del 2020 è stato uno dei periodi che ha raggiunto la più grande raccolta fondi della storia. Ciò significa che c’è disponibilità di liquidità che verrà destinata ad acquisizioni e conseguenti riorganizzazioni, positive perché l’obiettivo sarà crescere. Il blocco dei licenziamenti ha frenato il processo e così oggi le società si riorganizzano un po’ alla volta. È importante ricordare che durante le nostre interlocuzioni con le aziende oggi verifichiamo un maggiore interesse ad assumere piuttosto che a ridurre il personale: io credo che questo sia un bellissimo messaggio del mercato. Però chi resta molto in CIG rischia di veder calare la propria employability se nel frattempo non porta avanti anche un processo di formazione: è ovvio che sia così, se non vado a correre per un anno, di certo, non posso fare da un momento all’altro una maratona… La ripresa è sempre più impegnativa del momento in cui si è a regime. Quindi, sarebbe importante capire, tra le tante persone oggi in CIG, chi davvero rischia di perdere il lavoro. E agire su queste persone affinché mantengano la loro employability. Il Fondo nuove competenze è propedeutico alla formazione, ad esempio. Come dico spesso, inoltre, dovremmo pensare a una struttura digitale di controllo in grado di gestire le opportunità di lavoro a livello nazionale. Purtroppo, non abbiamo ancora sfruttato al meglio la potenza dei Navigator, altrimenti avremmo costruito un database con le competenze a livello nazionale. Il nostro primo obiettivo devono essere le politiche attive del lavoro e la creazione di un gestionale condiviso a livello nazionale, non solo regionale».
Qualcosa si muove?
«L’orientamento c’è, ma dobbiamo accelerare e rendere le buone intenzioni una realtà. La capacità di digitalizzazione dello stato esiste, è stato dimostrato con l’app IO: bisogna volerlo fare e cercare di uniformare anche la gestione della privacy, che oggi limita anche la condivisione di dati utili alla ricollocazione tra Regioni differenti.».