«Il lavoro del futuro necessita dello sguardo analitico, olistico ed empatico delle donne»

Donatella Davoli e Selina Xerra di Iren riflettono sul concetto di leadership al femminile: «Politiche, educazione alla diversità e linguaggio sono necessari al cambiamento culturale»

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Intelligenza emotiva, approccio olistico, capacità analitico-razionali e sguardo attento alla complessità. Sono alcune delle caratteristiche particolarmente spiccate nelle donne che il mondo del lavoro richiederà sempre più, in futuro.

Donatella Davoli, direttrice generale di Iren Smart Solutions, e Selina Xerra, direttrice CSR di Iren Spa, entrano in profondità dentro il tema della leadership al femminile, che porta con sé riflessioni su questioni di genere, pari opportunità e politiche connesse, al di fuori da narrazioni forzate e stereotipi.

Esiste una leadership al femminile e, se sì, da dove nasce?

Donatella Davoli: Credo che oggi si parli di questioni di genere più che in passato perché si avverte in modo sempre più forte una necessità di equità, in tutta la società. A maggior ragione nella generazione Y, per la quale mi pare che l’equità sia davvero un elemento importante, come lo è il tema della diversità in generale. Oggi, insomma, la complessità è tale per cui – per comprenderla e affrontarla – sono necessari punti di vista diversi, e ogni contributo è essenziale. Le donne sono metà della popolazione e il loro contributo è importante. Sulla leadership in sé ho un’opinione precisa: credo che realmente le donne siano portatrici di uno stile diverso, non tanto a causa di una questione genetica, ma perché gli stereotipi hanno davvero condizionato la loro crescita e, di conseguenza, anche quella degli uomini, in un certo qual modo. Sono convinta, infatti, che quelli che per me sono valori importanti, sono in realtà valori indispensabili per una leadership, anche maschile. Ciò che è accaduto è che negli anni le donne sono state spinte, fin da bambine, a sviluppare certe competenze e a “bloccarne” altre. Oggi le donne dimostrano di avere un determinato tipo di sensibilità e di attenzione, sono più portate a costruire ambienti collaborativi, sono più empatiche e sono contraddistinte da una spiccata intelligenza emotiva: si tratta di caratteristiche che nel mondo del lavoro sono davvero fondamentali. È più facile che le donne le posseggano: quindi potrei dire che, sì, esiste una leadership al femminile che, in termini di competenze utili per il mondo del lavoro, sarebbe da diffondere, per modalità, anche tra gli uomini.

Il tema del femminile pone anche, in qualche modo, il tema del maschile, perché tutto sommato siamo tutti costretti in contenitori che la società ha costruito per noi. Chi ha figli di entrambi i sessi, ad esempio, deve forse porsi il tema per entrambi…

Donatella Davoli: Sì. È così. Io ho due figli di sesso diverso. Da figlia sono stata indirizzata verso ruoli considerati più femminili, ad occuparmi più della famiglia che del lavoro. Ma poi ho fatto le mie scelte e mia figlia, oggi, mi “usa” come modello. Però, al contempo, cerco di essere equilibrata anche con il figlio maschio, per non cadere – come facile – in vecchie abitudini. Ecco, questo per dire che ci si può aiutare tra genitori, insegnanti, educatori e responsabili all’interno delle aziende: dobbiamo stare tutti molto attenti per cambiare le cose, gli stereotipi sono sempre in agguato.

Del resto, ancora il problema esiste, visto che i numeri dicono che nei posti di comando le donne sono poche… Il dibattito è in corso e ci si muove in un terreno scivoloso; anche quando la politica introduce il tema delle quote rosa qualcuno si chiede se non si tratti di una forzatura “imporre” figure femminili quando importante dovrebbe essere, innanzi tutto, la capacità. Cosa ne pensate?

Selina Xerra: Condivido molte delle cose che diceva Donatella poco fa, ovvero che esistano caratteristiche più genericamente femminili e altre più prettamente maschili, ma sono per natura poco propensa a stereotipizzare, forse anche perché sono vissuta in una famiglia non convenzionale, con un padre artista. Sono cresciuta credendo molto nelle persone, in quelle illuminate, che io penso abbiano la capacità di mixare e mescolare piani anche molto diversi tra loro: quello della razionalità estrema con quello dell’emotività, il piano della determinazione con quello del coinvolgimento. Forse, il motivo per cui si parla tanto oggi di leadership al femminile – oltre che per il fatto che le donne sono più del 50% della popolazione mondiale – deriva da un cambiamento di esigenze, che sta proprio nel volere uscire dagli stereotipi e mescolare le differenze, tutte, anche quelle culturali e anagrafiche. Ecco, siamo così sollecitati a dover fare i conti con il “diverso” che dobbiamo farceli per forza questi conti! Quella di genere è una delle diversità che, anche per dati numerici, si sta imponendo. Non è l’unica, ma sono convinta che quando si creano delle wave, delle tendenze come quella del politically correct, questo accade perché si sta interpretando una realtà di fondo. Non si tratta, insomma, di una banale “moda” o di una prassi che deve essere seguita, ma si sta interpretando un bisogno posto dalla globalizzazione, dalla velocità dei contatti e di scambi che non ha precedenti nella storia: il mondo ci sta dicendo che è necessario conciliare le differenze. E noto anche che tanti uomini intelligenti che incontro lungo il mio cammino stanno già componendo questo mix. Insomma, come dicevo, credo nelle persone illuminate attraverso le quali passa qualsiasi possibilità di empowerment.

Donatella Davoli: Concordo con Selina nella convinzione che le persone facciano davvero la differenza. Però, oggi partiamo da una situazione di numeri sproporzionati che deve farci riflettere anche su cosa si debba davvero fare; non si può solo aspettare che le cose cambino. A me pare che la situazione stia evolvendo e sono convinta che le politiche abbiano spinto questa trasformazione. Per questo ritengo che siano necessarie, perché senza di esse servirebbero tempi troppo lunghi per raggiungere l’equilibrio ricercato. Ammetto che – di primo acchito – non mi piaccia particolarmente che le donne debbano occupare un posto per questione di quote di genere e non di merito, ma al contempo so bene che chi, in alto, compie le scelte, non sempre è persona illuminata, o magari ha una storia alle spalle che la porta a prendere decisioni seguendo schemi vecchi, ovvero quelli che tendono a prediligere gli uomini.

Selina Xerra: Certamente. E – aggiungo – non è un caso che abbiamo cambiato il nostro Paese con la Costituzione: abbiamo creato un patto sociale nuovo attraverso una norma necessaria a costruire una cultura.

Donatella Davoli: Teniamo conto del fatto, poi, che se oggi il 40% dei board è occupato da donne, succede grazie alle quote rosa, ma purtroppo i ruoli executive femminili sono ancora solo il 2%… Quindi credo che si debba spingere in questa direzione, altrimenti questo equilibrio, questa diversità che dovrà contraddistinguere il mondo di domani, composto da tanti pensieri e da tante persone, non verrà raggiunto: è un traguardo importante, da cui oggi – tuttavia – siamo ancora molto lontani. Quindi, occorre continuare a parlarne e a incentivare delle politiche che spingano più convintamente in quella direzione.

Di tanto in tanto si scatenano dibattiti sul linguaggio, su quale appellativo si debba usare per donne che ricoprono ruoli precisi, se le si debba chiamare ministro o ministra, ad esempio. Pensate che si tratti di forzature o che possano essere strumenti utili a raggiungere l’obiettivo?

Selina Xerra: Quello di genere è un tema molto legato a un sostrato culturale, come altri. Prendiamo il mercato del lavoro italiano: è un campo tipicamente bloccato, in cui i meccanismi di carriera sono lineari. I giovani ci stanno mostrando che si può passare da un’azienda a un’altra facilmente. Noi siamo cresciuti, invece, con l’obiettivo di entrare in un’organizzazione e fare carriera al suo interno. Questa è ancora l’idea dominante. Facciamoci delle domande: quanti giovani, quanti stranieri, quante donne sono alla guida delle aziende italiane? Stiamo portando avanti un modello che crea barriere in ogni senso, e quindi le crea anche alle donne.

Donatella Davoli: Sul tema del linguaggio mi sono molto interrogata. Una volta in un convegno in cui si parlava di questioni di genere mi hanno presentata come amministratrice. Lì per lì non mi è piaciuto. Poi ci ho riflettuto, anche in occasione dell’ultimo dibattito che si è scatenato nella cronaca (il caso di Beatrice Venezi, che ha sottolineato di voler essere chiamata direttore d’orchestra e non direttrice, ndr) e mi sono detta, innanzi tutto, che le parole esprimono un pensiero, e non è banale sottolinearlo. Quando in una lingua sembra che la parola al femminile valga meno, significa qualcosa. Direttore, in quel caso, sembra più autorevole. E in italiano, se si dice direttrice la sensazione è che il significato sia diverso. Sforzarsi di usare parole coniugate al femminile, invece, può servire, e io stessa ho deciso che mi presenterò sempre così. È un fatto culturale che dobbiamo cominciare a far permeare e quanto più useremo questo linguaggio, quanto più, nel tempo, sarà immediato comprendere che un certo mestiere lo può fare sia un uomo che una donna.

Entrando nell’uso comune, non dovrebbe fare più l’effetto strano o cacofonico che alcuni condannano…

Donatella Davoli: Certo, perché sembra strano ciò che non abbiamo mai sentito.

Selina Xerra: D’altra parte creare nuove consuetudini contribuisce a creare una cultura.

Sul versante delle caratteristiche, da cui siamo partite nella nostra chiacchierata, credete che soffermarsi su una considerazione che distingua, in base al genere delle caratteristiche precise, possa essere fuorviante o invece esistono e possono essere utili a tutti?

Selina Xerra: Bisogna fare attenzione a non banalizzare e ribadire che le persone fanno la differenza. Ma è vero che esistono modalità e inclinazioni a cui forse le donne sono più portate. Ad esempio, io credo che per una donna accantonare la sfera emotiva sia più difficile. Credo anche, però, che nemmeno un uomo non dovrebbe farlo. Non è un valore lasciarla fuori, lo è portarla dentro. Mi piace che i miei collaboratori – tutti – portino sul tavolo la loro emotività, perché sono convinta che l’emotività contenga creatività. Forse questa è una caratteristica più femminile solo perché agli uomini a lungo è stato chiesto di non mostrarla, come se fosse una fragilità. Credo, poi, che la capacità generativa delle donne, anche quando non hanno figli, sia una caratteristica genetica che predispone all’inclusività, perché il poter generare porta con sé la capacità di includere persone diverse da se stessi, e anche i più fragili. Poi dovremmo forse parlare di tutte quelle donne che hanno tirato fuori il peggio di se stesse: in passato questo è stato uno degli ostacoli all’empowerment femminile perché in una certa fase storica la leadership al femminile voleva dire essere ancora più autoritarie degli uomini.

Donatella Davoli: Su questo punto aggiungerei che se queste donne, le prime ad arrivare “in alto”, hanno mostrato determinati comportamenti, lo hanno fatto perché l’ambiente premiava le caratteristiche più “muscolari” e perché sentivano di dover dimostrare di più. Vorrei anche aggiungere qualcosa rispetto al tema delle caratteristiche più emotive. Oggi è noto che sono sempre più importati. Tanti studi dimostrano che le emozioni sono essenziali nel prendere decisioni. Inoltre, in questo momento storico in cui si ragiona sul fatto che alcuni mestieri verranno sostituiti dalle macchine, dobbiamo essere consapevoli che questo accadrà soprattutto per le mansioni maggiormente legate alla razionalità, all’emisfero sinistro del cervello, come si dice.  Queste attività saranno trasformate in regole e insegnate alla macchina. Quelle che non potranno essere eseguite dalle macchine sono le attività legate all’intelligenza emotiva, all’emisfero destro, di cui le donne sono più dotate, anche per esperienza, non solo per genetica. Oggi, quindi, le donne si ritrovano a essere portatrici delle competenze ritenute più importanti. L’ultimo rapporto del World Economic Forum sul futuro del lavoro – che analizza anche dove le aziende sono più carenti – rivela che in tante organizzazioni manca l’intelligenza emotiva. Se oggi la si vuole portare dentro le aziende, si devono assumere più donne. E si deve fare in modo che diventi una competenza diffusa.

Resta il fatto che le donne sono ancora meno propense a scegliere studi tecnico-scientifici…

Selina Xerra: È vero. Ma, fermo restando che le donne possono fare ciò che vogliono, credo che siano caratterizzate da un approccio più olistico alle situazioni. Sono più portare a guardare alle relazioni tra le cose, piuttosto che ad entrare nello specifico di un aspetto. E anche questo è un dato forse naturale, che potrebbe spiegarsi con il fatto che nell’approccio generale alla vita alle donne è richiesto di occuparsi di più cose contemporaneamente. Ecco, mi preme però che le donne non si sentano forzate a fare cose contro natura solo per dimostrare qualcosa.

Donatella Davoli: Seguire i propri sogni e le proprie aspirazioni è importante per tutti. Su questo punto, però, vorrei anche dire che difficilmente ci si potrà appassionare a qualcosa che non si conosce. L’orientamento agli studi deve tenere conto di questo. Osservando report e dati si nota che c’è talmente tanto bisogno di persone in determinate aree, ad esempio quelle legate alla tecnologia e al digitale, ed è importante che le ragazze lo sappiano. Adesso si parla più spesso di settori Steam e non solo Stem; si aggiunge anche la “a” di Art all’acronimo che sta per Science, Technology, Engineering and Mathematics. Esistono linguaggi che dobbiamo imparare tutti, come quello digitale, ma ribadiamo anche che l’approccio alle discipline scientifiche va fatto usando il filtro della creatività. Bisogna riportare quelle competenze all’interno delle discipline scientifiche. Noi abbiamo assunto tante donne, laureate in ingegneria, e sono fenomenali, perché sommano alla capacità analitico-razionale le caratteristiche di cui parlava Selina, quella di comprendere i contesti e analizzare i problemi con sensibilità. Ricordiamoci che ci sarà sempre più bisogno di quello che viene chiamato umanesimo digitale, perché davvero la digitalizzazione e la robotizzazione del lavoro richiedono di saper usare certi strumenti, ma dovremo saper comprendere la complessità: la creatività, l’arte e la poesia ci aiuteranno a decifrare un mondo sempre più complesso.

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