Il cambiamento organizzativo parte dal cambiamento della relazione azienda-persona. Il punto di vista di Alessandro Donadio
Abbiamo chiesto ad Alessandro Donadio, autore del libro “HRevolution, HR nell’epoca della social e digital tranformation” di spiegarci cosa sta avvenendo nel mondo delle organizzazioni e soprattuto nella sfera delle loro relazione con i collaboratori. Quale sarà il nuovo modello?
Cambiamento organizzativo è ormai una espressione che sentiamo ripetere ossessivamente, come una sorta di mantra, cui tutti sembra si debbano accordare. Non è raro sentire dire “dobbiamo cambiare”, come è altrettanto comune avvertire che, a questa dichiarazione, non segue necessariamente una reazione. Non potrebbe essere altrimenti: l’affermazione è generica e ha in un imperativo che la carica di ansie e di resistenze.
Abbiamo chiesto ad Alessandro Donadio, che di questi temi si è occupato ultimamente nel suo libro “HRevolution,HR nell’epoca della social e digital tranformation”, di spiegarci cosa sta avvenendo nel mondo delle organizzazioni e soprattuto quale è il sentiero su cui queste si stanno avventurando, in mezzo a molte più incertezze di un tempo.
Innanzitutto, ci spiega, il focus non può essere il cambiamento bensì la consapevolezza.
Se non si parte da questo sarà ben difficile per un’organizzazione comprendere se e su cosa è necessario cambiare. Il processo di cambiamento organizzativo non può essere infatti imposto come un assioma, pena la paralisi. Le organizzazioni hanno grande risorse, spesso trascurate: le persone, che sono portatrici di saperi e conoscenze, che possono giocare una parte fondamentale in questi percorsi di consapevolezza.
Il modello genitoriale dell’HR: dal paterno al materno
Il punto, per Donadio è proprio questo: la relazione che le aziende hanno ingaggiato con i loro collaboratori è stata storicamente da quella di stampo paternalistico a quello materno.
Sia l’uno sia l’altro ponevano la persona in una posizione “infantilizzata”, oggetto di controllo e di sottomissione, sia che si esercitasse un autoritarismo normativo, sia che si propendesse per un affettivo orientamento all’ accompagnamento e al supporto.
In entrami i casi il risultato era quello di preservare uno status confortevole, scevro da interferenze, maggiormente prevedibile.
Storicamente c’è stata un’evoluzione dal primo modello al secondo. In nessuno dei due casi la persona viene considerata come individuo responsabile, autonomo ed interdipendente.
Una delle prime grandi consapevolezze che l’organizzazione deve maturare è proprio questa: solo in questo modo tutta la ricchezza, di cui sono portatori i suoi collaboratori, può essere colta e messa a fattor comune.
Cambiamento organizzativo, ovvero sostare nell’incertezza
Certo il prezzo da pagare è una maggiore imprevedibilità, ma si tratta di un pedaggio che oggi il contesto impone, a prescindere dalla volontà. Molto probabilmente, avere accesso alle variabili generative che portano le persone, finalmente considerate adulte, può rappresentare un vantaggio per evitare le letture univoche che, solitamente, suonano il preludio della disfatta.
Bion parlava di capacità di sostare nell’incertezza e Lanzara già nel 1993 parlava di Negative Capability, come di un agire che nasce dal vuoto, dalla perdita di senso e di ordine, ma che è orientato all’attivazione di contesti e alla generazione di mondi possibili. Deviare dalla normalità ha un potere innovativo straordinario, salvo saper convivere con temporanee assenze di ordine e direzione.
La relazione azienda-collaboratore quindi deve maturare verso il modello transazionale adulto-adulto, che restituisce valore e responsabilità alle parti, pur nella differenza dei ruoli e con la fragilità dei ruoli.
L’organigramma, la coperta di Linus cui oggi inutilmente si è tentati di aggrapparsi, per mantenere quel controllo che altrove non è più palesemente esercitabile, rischia di irrigidire, rallentare e abbattere il passaggio di informazioni, idee e stimoli. I connettori che tradizionalmente collegano le varie caselle sono ormai infrastrutture obsolete, inadatte per le nuove sfide della digital transformation e l’industria 4.0.
L’organizzazione fluida vs la fragilità della struttura
Rendere l’organizzazione più fluida, produttivamente adattabile, resiliente agli inevitabili contraccolpi di un mare continuamente in tempesta, è uno dei compiti primari di chi la gestisce e lavora sul cambiamento organizzativo. Creare interconnessioni trasversali ed ampie, in funzione della meta da raggiungere, è la nuova sfida che fa somigliare l’organizzazione ad un sistema neurale, con sinapsi continuamente in costruzione, piuttosto che ad una rigida autostrada in cemento e asfalto.
La domanda quindi che ci si deve porre non è più se è necessario cambiare, ma come è meglio farlo. Cominciare dall’interno, ripensando le persone come co-costruttrici si senso e significato, “struttura” e funzionalità, è un primo grande passo verso l’hr evolution, che la rivoluzione delle risorse umane porta con se.