IA e scuola: che cosa può imparare il mondo del lavoro?
A un mese dall’inizio della scuola, esploriamo il dibattito sull’utilizzo dell’IA in classe, individuando possibili spunti utili anche per il contesto lavorativo.
A cura di Skilla
Con l’inizio del nuovo anno scolastico, il dibattito sull’uso dell’Intelligenza Artificiale in classe si è intensificato, soprattutto dopo l’annuncio del ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, riguardo all’avvio di una sperimentazione che introdurrà l’IA in 15 classi di quattro regioni italiane.
Alcune delle riflessioni emerse da questo dibattito offrono spunti interessanti che possono essere applicati anche al mondo del lavoro.
Ruoli e relazioni
Uno dei temi più dibattuti riguarda il ruolo del docente. Studi e sperimentazioni recenti offrono prospettive contrastanti. Da un lato, uno studio condotto da due docenti di Harvard ha dimostrato che gli studenti seguiti da un tutor IA hanno raddoppiato i loro progressi rispetto a quelli seguiti solo da un insegnante in aula.
Dall’altro lato ci sono risultati meno incoraggianti o veri e propri fallimenti. Uno studio dell’Università della Pennsylvania ha evidenziato che l’uso di un sistema IA ha migliorato le prestazioni degli studenti ma, una volta rimosso l’accesso, i risultati sono peggiorati, suggerendo che l’IA potrebbe ridurre la capacità di risolvere problemi in modo autonomo.
È stata invece definita un fallimento l’introduzione, in alcune scuole di Los Angeles, di un chatbot progettato per motivare e coinvolgere gli studenti. Il progetto non ha dato i risultati sperati, poiché l’IA non è riuscita a replicare efficacemente il carattere sociale dell’apprendimento umano, che si basa sull’interazione, sull’intelligenza emotiva e sulla capacità di adattarsi alle esigenze individuali.
L’insuccesso del chatbot nelle scuole di Los Angeles evidenzia le difficoltà che l’IA incontra nel replicare le dinamiche sociali ed emotive dell’apprendimento umano. Questo solleva una domanda cruciale, come evidenziato da Francesco Marino, giornalista e autore esperto di digitale: cosa accade alla relazione tra studente e docente quando esiste un sistema che risponde 24 ore su 24, fornisce spiegazioni semplici e non chiede nulla in cambio?
Secondo Marino, l’introduzione di questi sistemi non è solo una questione tecnologica, ma anche culturale. C’è il rischio che, in nome dell’efficienza, si cerchi di ottimizzare la relazione con gli insegnanti, portando a un impoverimento della qualità del rapporto docente-studente. Il pericolo, quindi, non è una completa sostituzione del docente, ma piuttosto una riduzione della profondità delle interazioni, con possibili ricadute negative sull’apprendimento.
Anche la facilità con cui l’IA generativa permette di produrre output di alto livello solleva nuove sfide: non solo l’autenticità e il valore dell’output potrebbero essere messi in discussione, ma un uso massiccio di queste tecnologie potrebbe anche portare a una standardizzazione delle risposte, riducendo la creatività e l’unicità del processo di apprendimento.
Analogamente, nel contesto organizzativo, è improbabile che l’IA sostituisca del tutto le figure professionali, ma si assisterà piuttosto a una ridefinizione di compiti, ruoli e responsabilità. Gli interrogativi sollevati da Marino, quindi, ci offrono spunti di riflessione anche per il mondo del lavoro.
Orientarsi e orientare
Nelle scorse settimane, la discussione non si è concentrata solo sul ruolo del docente, ma anche sull’uso delle tecnologie e sull’innovazione nella scuola.
Franco Amicucci, presidente di Skilla, sottolinea come la rivoluzione tecnologica richieda una risposta attiva da parte sia della scuola che della società: comprendere la tecnologia è essenziale per poterla guidare ed orientare. Promuovere un uso etico e responsabile dell’Intelligenza Artificiale parte, prima di tutto, da una conoscenza approfondita dei suoi meccanismi. Come afferma Amicucci, “Se non la conosci, sarà lei a guidare te“, con il rischio di conseguenze indesiderate.
Secondo Amicucci, il primo passo è l’alfabetizzazione all’IA e lo sviluppo delle competenze digitali. L’importanza di queste competenze è stata evidenziata anche dal Report on the State of the Digital Decade, che mostra le difficoltà delle imprese nella digitalizzazione e mette in luce la frammentazione nell’uso di risorse e finanziamenti tra i paesi europei.
Antonio Calvani ha osservato una simile frammentazione anche nelle scuole, dove i fondi per la digitalizzazione sono stati gestiti in modo autonomo, spesso senza un’adeguata attenzione alla selezione delle esperienze, agli obiettivi e alla loro valutazione. Questo ha generato una situazione dispersiva che richiede una riflessione critica e la definizione di strategie di miglioramento.
Lo stesso approccio è auspicabile anche per le organizzazioni: partire dallo sviluppo delle competenze digitali con strategie chiare e ben definite.
Di Arianna Meroni