Green pass e lavoro, per Confindustria obbligo se è a rischio la salute dei colleghi
Diverse tra loro le posizioni delle organizzazioni di categoria, in generale più propense a valutare i singoli casi. Difficile avallare l’imposizione per i sindacati.
Green pass per lavorare? È questa la proposta ipotizzata da Confindustria, che ne sta ragionando con Governo e istituzioni affinché venga inserita nel nuovo protocollo per la sicurezza sul lavoro. La notizia è rimbalzata attorno al 20 luglio, quando il quotidiano Il Tempo ha dato notizia di una mail interna che la direttrice generale di Confindustria, Francesca Mariotti, aveva inviato ai direttori del sistema industriale. Obiettivo: porre fine agli stop della produzione e a nuove casse integrazione. La sospensione della retribuzione l’alternativa per chi si rifiutasse di vaccinarsi pur non avendo la possibilità di svolgere mansioni in modalità che non mettano a rischio i colleghi.
La posizione di Confindustria
«L’esibizione di un certificato verde valido — recitava la mail — dovrebbe rientrare tra gli obblighi di diligenza, correttezza e buona fede su cui poggia il rapporto di lavoro. In diretta conseguenza di ciò, il datore, ove possibile, potrebbe attribuire al lavoratore mansioni diverse da quelle normalmente esercitate, erogando la relativa retribuzione; qualora ciò non fosse possibile, il datore dovrebbe poter non ammettere il soggetto al lavoro, con sospensione della retribuzione in caso di allontanamento dell’azienda».
Confindustria non ha smentito, pur consapevole della posta in gioco. La tutela della salute è un diritto che – se negato – potrebbe mettere in discussione la retribuzione di chi la comprometterebbe, di fatto. Come di fatto già da metà luglio è successo, con l’incremento dei contagi.
La posizione dei sindacati
Difficile per le organizzazioni sindacali accettate l’imposizione del vaccino. Diverso per le altre organizzazioni imprenditoriali, che hanno fin da subito assunto posizioni diverse tra loro: «Sono assolutamente d’accordo — il parere di Donatella Prampolini, presidente Fida Confcommercio — Noi ci siamo battuti per avere i vaccini in azienda, e credo che adesso gli operatori debbano considerare come impegno civico quello di vaccinarsi. In questa fase è troppo importante uscire dalla pandemia, e se ne esce solo con l’immunità di gregge». Meno convinto Mauro Bussoni, segretario generale Confesercenti: «Non c’è dubbio che vada favorito il maggior numero possibile di vaccinazioni, ma credo che tutte le cose debbano essere fatte con equilibrio, e che serva una soluzione concordata con i sindacati dei lavoratori dipendenti: servono provvedimenti che sensibilizzino, non coercitivi». Non prende posizione Alleanza Cooperative, che però ha sostenuto con forza la campagna vaccinale, ipotizzando anche un possibile obbligo per i lavoratori più esposti. Confcooperative precisa però che l’organizzazione adottata finora, basata su controlli settimanali sui dipendenti, ha garantito un buon livello di sicurezza.
Divisi, peraltro, anche i giuristi sull’obbligatorietà della vaccinazione: «Chiedere il Green Pass per l’accesso ai ristoranti non è come chiederlo per i luoghi di lavoro — osserva il presidente del Cnel Tiziano Treu — Ci sono molti posti di lavoro in cui le distanze possono essere garantite, meglio che al ristorante. La cosa andrebbe verificata con attenzione: solo se ci sono condizioni di rischio documentate si può parlare di obbligatorietà».