Global Gender Gap: allarme di Bankitalia, Italia la peggiore in Europa

È stato recentemente presentato il Global Gender Gap, ranking stilato dal World Economic Forum. Il nostro Paese registra dati allarmanti in riferimento alla rappresentanza delle donne in politica, partecipazione al mondo del lavoro e divario salariale. L’allarme è anche di Bankitalia: l’Italia è fanalino di coda in Europa e questo limita le prospettive di crescita economica generale.

gender gap

Nel 2022, complice l’aumento dei costi, la pandemia, l’emergenza climatica, i conflitti il percorso verso la parità di genere si è fermato. Qualche segnale di miglioramento si è registrato nel corso del 2023 ma solo in alcune parti del mondo sul piano della sanità e dell’istruzione, e, in generale, sul piano dell’empowerment, del lavoro e della partecipazione delle donne si sta assistendo ad una grave regressione: in Europa si evidenzia in media il più alto livello di parità di genere che però, al ritmo attuale, verrà raggiunto tra 67 anni; in questo quadro l’Italia è fanalino di coda.

A lanciare l’allarme il Global Gender Gap Report redatto dal World Economic Forum a giugno 2023 e, sulla stessa linea, è anche il rapporto presentato nello stesso mese da Bankitalia intitolato “Le donne, il lavoro e la crescita economica”.

Gender Gap: Italia fanalino di coda in Europa

Durante un convegno di presentazione del rapporto, Alessandra Perrazzelli, vicepresidente generale della Banca d’Italia, ha illustrato i dati che dimostrano qualche tendenza positiva, ma sempre insufficiente: «Nel 2012 in Italia il tasso di partecipazione femminile al mercato del lavoro era pari al 53,2 per cento, 20 punti inferiore rispetto a quello maschile; nei dieci anni successivi il tasso di attività femminile è aumentato di 3,3 punti, il doppio di quello degli uomini, e nel primo trimestre del 2023 ha raggiunto il livello più alto dall’inizio delle serie storiche, il 57,3 per cento». Inoltre, ha detto Perrazzelli, «già da almeno un paio di decenni le donne sono circa il 56 per cento dei laureati ogni anno. Nel 2022 le laureate in discipline scientifiche e tecnologiche sono state circa il 20 per cento in più rispetto al 2012». E ancora, un ulteriore tangibile risultato positivo riguarda la presenza femminile negli organi di amministrazione delle società quotate, pari a circa il 43 per cento nel 2022 a fronte del 7,4 per cento nel 2011: tale aumento è principalmente attribuibile all’attuazione della legge Golfo-Mosca».

Nonostante queste tendenze positive, l’Italia si colloca ancora 13 punti percentuali sotto la media UE e «al di sotto di quel 60 per cento che era stato indicato come obiettivo da raggiungere entro il 2010 dall’Agenda di Lisbona e dei traguardi impliciti nell’Agenda Europa 2020, che avrebbero comportato per l’Italia un sostanziale allineamento della partecipazione femminile alla media europea». C’è da dire infatti che, altri Paesi che, come la Spagna, partivano da condizioni simili, hanno registrato tendenze migliori. Non è migliorata, infatti, la partecipazione delle donne tra i 25 e 34 anni e neppure la natalità, che «nelle economie avanzate tende ad essere positivamente correlata con la partecipazione femminile al mercato del lavoro», sottolinea la vicepresidente di Bankitalia.

Il divario salariale, poi, si attesta ancora intorno al 10% e, soprattutto, solo di pochi punti percentuali a quanto non accadesse nel 2012.

Ciò che il rapporto di Bankitalia evidenzia è che questi dati sono collegati al percorso di studi che viene scelto: le ragazze, infatti, che hanno tendenzialmente rendimenti migliori dei ragazzi fino alla scuola dell’obbligo, tendono poi a scegliere studi superiori e universitari che non garantiscono sviluppi occupazionali e professionali migliori dal punto di vista salariale. La nascita dei figli penalizza ulteriormente: la “child penalty” – così viene definita – è ancora un’aggravante della situazione occupazionale per le donne.

La partecipazione femminile al mercato del lavoro aumenta le prospettive di crescita economica

Alessandra Perrazzelli è stata molto chiara, nel commentare questi dati: «I divari e più in generale la bassa partecipazione femminile al mercato del lavoro limitano le prospettive di crescita economica dell’Italia – ha detto – Le analisi sui paesi avanzati mostrano che a una più alta partecipazione femminile si associa un reddito pro capite significativamente più elevato: ciò non dipende solo dal fatto che una data espansione dell’offerta di lavoro porta nel lungo periodo a un aumento del prodotto; la letteratura economica mostra anche che una migliore allocazione dei talenti di uomini e donne sostiene la crescita della produttività a livello aggregato».

Secondo i risultati, le donne hanno tassi di occupazione inferiori del 18% rispetto agli uomini, guadagnano l’11% in meno in termini di salario, hanno una maggiore diffusione di contratti a termine e part-time e affrontano limitate opportunità di ruoli di leadership all’interno delle aziende.

Donne nel mondo del lavoro e divario salariale in numeri

L’Italia si posiziona al penultimo posto nell’Unione Europea per quanto riguarda il divario di genere nell’occupazione, superata solo dalla Grecia. Il tasso di occupazione femminile si attesta al 51,1%, più di 18 punti percentuali inferiore rispetto al tasso di occupazione maschile tra le persone di età compresa tra i 15 e i 64 anni. Il divario salariale è già significativo all’ingresso nel mercato del lavoro, con una differenza del 16% tra i diplomati e del 13% tra i laureati, e si accentua ulteriormente con la maternità e l’avanzamento della carriera. Inoltre, le donne occupate hanno una maggiore propensione ad avere contratti temporanei (18% delle donne occupate dipendenti, rispetto al 16% degli uomini) e lavori a tempo parziale (31,7% delle lavoratrici, rispetto al 7,7% dei lavoratori), una scelta che non sempre è frutto di una decisione volontaria delle donne stesse.

Alessandra Perrazzelli, vicepresidente generale della Banca d’Italia, ha commentato che, nonostante ci siano stati alcuni miglioramenti sul fronte del gender gap nel lavoro, questi sono ancora molto lenti rispetto alla necessità di integrare le donne nel mercato del lavoro. La disparità riflette anche le difficoltà delle donne nel raggiungere posizioni di leadership all’interno delle aziende e la tendenza a lavorare in settori che offrono compensi mediamente più bassi, con solo il 20% delle donne ai vertici dei redditi. Di conseguenza, anche le pensioni delle donne risultano significativamente inferiori, con uno svantaggio del 27% rispetto agli uomini.

Promuovere la parità di genere significa innanzitutto sostenere l’uguaglianza, evitare casi di discriminazione e affrontare le lacune di un mercato che fatica a sviluppare ed allocare in modo efficiente le capacità professionali, in particolare quelle femminili. Questo è quanto ha concluso la vicepresidente di Bankitalia.

error

Condividi Hr Link