Geolocalizzazione, ora il controllo tech è anche contro il datore di lavoro
Grazie all’utilizzo di gps e chat di whatsapp si possono risolvere contenziosi e far emergere il nero.
Gps, geolocalizzazione e whatsapp non solo “contro” il lavoratore ma anche al suo servizio. Succede quando a mentire e a usare comportamenti illegittimi sono i datori di lavoro che non riconoscono gli straordinari dei loro dipendenti o li obbligano ad orario completo quando sono assunti part time. Un avvocato romano, Antonio Rosetta, si sta occupando da tempo di tutelare i casi di questi lavoratori, come riferisce a lui stesso al quotidiano la Repubblica, perché talvolta è difficile ricostruire l’accaduto attraverso le testimonianze dei colleghi, che hanno paura delle conseguenze.
In questi casi utilizzare la geolocalizzazione può davvero essere utile per ottenere transazioni più vantaggiose, utilizzando le perizie dei trascrittori. «Sono gli stessi che si occupano delle intercettazioni – spiega Rosetta a Repubblica – però per le nostre perizie invece utilizzano i dati del gps e di whattsapp per ricostruire i movimenti del lavoratore e dimostrare che il datore di lavoro sta mentendo, non ha pagato il dovuto o addirittura non ha assunto chi sta lavorando per lui».
Del resto, secondo l’ufficio studi della Cgia di Mestre, il numero di lavoratori che svolgono attività in nero o in modo irregolare per qualche ora o per l’intera giornata è davvero alto: si tratta di circa 3,3 milioni di italiani. «Ma è difficile dimostrarlo», prosegue l’avvocato Rosetta. Ecco perché utilizzando i dati del gps che monitorano tutti gli spostamenti si può venire a capo di certe situazioni, perché – grazie ad essi e alle informazioni che arrivano da whatsapp – si può ricostruire la giornata di lavoro delle persone. Le comunicazioni private, infatti, possono essere prese in considerazione in giudizio, facendo prelavalere sul diritto alla privacy quello alla difesa. «La Cassazione ha riconosciuto anche la validità come prova di un video girato da una badante in nero all’interno della casa dove lavorava», fa sapere Rosetta a Repubblica.