Geolocalizzare i dipendenti? Solo con il consenso o con un accordo sindacale
L’osservatorio sul diritto del lavoro di Toffoletto De Luca Tamajo ha analizzato le normative di 34 Stati nel mondo: in oltre il 70% dei casi è necessario il consenso dei lavoratori
Consenso dei dipendenti o accordo sindacale: nel 70% dei Paesi – tra i 34 osservati dallo studio Toffoletto De Luca Tamajo, tra cui l’Italia – geolocalizzare i dipendenti è possibile unicamente attraverso queste due strade; solo nel 15% delle legislazioni è sufficiente un’informativa.
Qualora la geolocalizzazione sia consentita, nel 90% dei casi sono previsti provvedimenti disciplinari; ovunque – in ogni caso – sono applicate sanzioni per l’uso illecito dei dati e nel 26% dei Paesi è obbligatoria la disconnessione fuori dall’orario di lavoro.
«Poter utilizzare i dati raccolti attraverso la geolocalizzazione consente al datore di lavoro di rendere più efficienti i processi di vendita o le attività di intervento tecnico svolte sul territorio, nonché di misurare in tali ipotesi la produttività dei dipendenti, a condizione che siano state adottate le necessarie procedure o autorizzazioni previste nelle diverse giurisdizioni», sottolinea l’avvocato Ornella Patané, partner di Toffoletto De Luca Tamajo.
I Paesi analizzati sono stati divisi in tre fasce, in base ai limiti posti dalla normativa all’utilizzo di sistemi di geolocalizzazione: facile, media e difficile. Alla prima fascia appartengono solo cinque Paesi: Canada, Argentina, Brasile, Cile e Regno Unito. Negli ultimi tre è necessaria un’informativa ai dipendenti, tratto comune a tutti gli altri Paesi coinvolti nella ricerca.
La mappa posiziona invece in fascia media gli Stati in cui all’informativa si aggiungono, nella maggior parte dei casi, una precisa policy aziendale sull’utilizzo e la conservazione dei dati e il consenso esplicito del lavoratore. Tra questi ci sono molti stati del Nord America – Washington, New York, New Jersey, Texas, Florida, California – oltre a Ungheria, Giappone, Emirati Arabi Uniti, Turchia e Portogallo. L’Italia si posiziona nell’ultima fascia, tra i Paesi in cui è considerato più “difficile” applicare il monitoraggio attraverso la tecnologia GPS, assieme a Belgio, Cina, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Israele, Lussemburgo, Paesi Bassi, Perù, Polonia, Repubblica Ceca, Russia, Spagna, Svezia, Svizzera. In questi Stati, oltre a informativa e policy, tra i requisiti per poter attuare il monitoraggio è sempre richiesto il consenso del lavoratore e/o il raggiungimento di un accordo sindacale o un’autorizzazione pubblica. Un caso particolare è l’Australia. In alcune aree del Paese, infatti, devono essere apposti degli avvisi permanenti sui dispositivi, come ad esempio degli adesivi sui telefoni cellulari, che segnalino dell’esistenza di un sistema di geolocalizzazione.
Comuni a molti Paesi sono anche le ammende per la violazione delle norme sul trattamento dei dati, previste in Europa dal GDPR. Cambiano le sanzioni che possono essere adottate, anche in base alla gravità dell’illecito. Le più comuni sono quelle amministrative, applicate nel 90% degli Stati. L’unico Paese oggetto della ricerca in cui è possibile monitorare la geolocalizzazione, ma non per adottare sanzioni disciplinari, è la Grecia.
L’analisi completa è illustrata nella Law MapTM Geolocalizzazione dei dipendenti, una delle mappe interattive risultato di complessi studi di diritto comparato svolti da Toffoletto De Luca Tamajo.