Gender gap: l’8 marzo ancora nulla da festeggiare
Le donne hanno performance migliori in ambito accademico – sono il 60% dei laureati – ma ottengono meno risultati in quello professionale, con in media addirittura il 20% in meno di stipendio rispetto ai colleghi uomini. Inoltre, il tasso di occupazione tra i laureati di primo livello a cinque anni dal titolo è pari all’86% per le donne e al 92,4% per gli uomini; tra quelli di secondo livello rispettivamente pari a 85,2% e 91,2%. Ecco la fotografia del gender gap in Italia scattata dal Consorzio Interuniversitario AlmaLaurea.
Se è vero che la parità di genere in Italia ha fatto – e continua a fare – notevoli passi avanti in diversi ambiti – da quelli sociali alla sfera culturale, per citarne solo un paio – sradicando abitudini mentali e preconcetti, è altrettanto vero che sul versante professionale il gender gap è ancora una realtà penalizzante per le donne, una sorta di soffitto di cristallo, trasparente ma che influenza non solo la carriera ma anche – e soprattutto – il trattamento economico. A parità di mansioni e ruoli, infatti, le donne guadagnano in media il 20% di stipendio in meno rispetto agli uomini, che tradotto in euro significa che i laureati di primo livello guadagnano mediamente 1.651 euro mentre le laureate solo 1.374. E questo nonostante le performance accademiche “al femminile” registrino valori più alti sia a livello di numero di laureate sia di votazioni, come emerge da un’indagine fatta dal Consorzio Interuniversitario AlmaLaurea, che ha intervistato 291.000 persone che hanno conseguito la laurea nel 2020 e altre 655.000 che si sono laureate nel 2015, 2017 e 2019.
Nel 2020 le donne sono circa il 60% dei laureati in Italia, ma interessanti sono anche i dati relativi ai dettagli del curriculum universitario: il voto medio di diploma delle donne si attesta sugli 82,5/100 contro gli 80,2/100 degli uomini (anche il voto medio di laurea registra un divario: 103,9/110 per le donne e 102,1/110 per gli uomini) e le donne primeggiano anche nelle esperienze di tirocinio (il 61,4% ne prende parte, contro il 52,1% dei maschi) in quelle di studio all’estero (l’11,6% rispetto al 10,9%) e nello svolgimento di un lavoro durante il percorso universitario (66% vs 64%). Non solo. Il 60,2% delle donne conclude gli studi in corso, cosa che fa solo il 55,6% degli uomini.
Contraltare drammatico della situazione universitaria è la fotografia che AlmaLaurea ha scattato del panorama lavorativo della Penisola, che vede gli uomini in netto vantaggio sia per quanto riguarda i tassi d’occupazione sia le caratteristiche contrattuali: a cinque anni dal conseguimento del titolo di studi di primo livello, infatti, solo l’86% delle donne ha un lavoro, contro il 92,4% degli uomini, valori che si attestano rispettivamente sull’85,2% e 91,2% per le lauree di secondo livello.
Inoltre, il periodo post-laurea coincide per molte donne con la ricerca di un figlio e proprio la maternità rappresenta ancora in Italia un ulteriore elemento penalizzante, che allarga la forbice tra i sessi sia del tasso d’occupazione sia della tipologia di contratto lavorativo, con gli uomini in posizioni professionali di maggior prestigio, con ruoli imprenditoriali e dirigenziali in primis. Dall’indagine risulta infatti che gli uomini laureati superano in percentuale le donne sia per quanto concerne il lavoro autonomo (a cinque anni dalla laurea di primo livello sono l’11,6% gli uomini e il 7,5% le donne con un’occupazione autonoma, che diventano il 21,8% contro il 20,2% per i laureati di secondo livello) sia per quanto riguarda i contratti a tempo indeterminato (il 64,5% delle laureate contro il 67,4% dei laureati di primo livello e 52,2% vs 59,1% al secondo livello) e le posizioni dirigenziali (2,2% delle donne e 3,9% degli uomini).
Di contro, sono maggiori le percentuali di contratti non standard per le donne, fattore che si è acuito nel periodo postpandemico, caratterizzando il mondo del lavoro femminile da un incremento della discontinuità occupazionale e della precarietà: sono il 17% le laureate di primo livello assunte a tempo determinato, contro il 12,2% dei laureati (18,9% e 11,5% i valori dei laureati di secondo livello).
Merita una riflessione anche il dato relativo all’occupazione femminile part-time: secondo il Gender Policies Report, la ricerca dell’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche, la ripresa del lavoro nel 2021 ha visto per le donne un eclatante 49,6% di contratti a tempo parziale tra tutti i contratti femminili in essere, contro il 26,6% per gli uomini.
Infine, facendo un analisi della situazione nel resto d’Europa, l’Italia risulta al penultimo posto per quanto riguarda l’occupazione femminile: secondo i dati raccolti dall’Istat, infatti, le donne che lavorano si aggirano sul 50%, contro l’oltre 80% dei Paesi nordici, con particolare penalizzazione della fascia d’età 25-30 anni, che tuttavia risulta essere molto istruita. Tra le cause, sicuramente il fatto che in Italia è la donna a dover pensare alla casa e alla famiglia (per il 67%) senza essere supportata da servizi adeguati per la prima infanzia (solo il 12% dei bambini in tenera età frequenta l’asilo comunale) ma anche per la cura degli anziani.