Gender gap, ancora indietro il lavoro femminile
In Italia solo 4 lavoratori su dieci sono donne. Questi gli allarmanti dati sull’occupazione 2021 diffusi dall’Istat ed elaborati dalla Fondazione Moressa. Nel quadro di generale crescita dell’occupazione dopo il forte calo del 2020 determinato dalla pandemia, l’occupazione femminile cresce ma il problema resta l’incidenza di questa componente sul totale: il 42,2% è ancora troppo basso.
Se, storicamente, l’occupazione femminile in Italia è sempre stata sotto il 60% – bassissima in confronto a realtà come Svezia o Paesi Bassi, dove le donne che lavorano sono circa l’80% – ora il Belpaese si ritrova a occupare addirittura le ultimissime posizioni della classifica europea relativa al tasso di occupazione femminile e a livello mondiale, il World Economic Forum ci inserisce al 63esimo posto del Gender Gap Report 2021 su 156 Paesi. I dati, poi, sono ancor meno rassicuranti se analizzati nel dettaglio: troviamo, infatti, solo il 28% di donne in posizioni manageriali, solo il 16% dei laureati in discipline scientifiche (Stem) è di sesso femminile – il 15% in IT – mentre le donne rappresentano, rispettivamente, il 17% della forza lavoro del settore tech e appena il 12% delle startup innovative.
Cauta ripresa
A questo quadro poco incoraggiante – il gap tra l’occupazione femminile e quella maschile è del 20%), si è aggiunta la battuta d’arresto della pandemia, con la perdita di 724mila posti di lavoro totali nel 2020, alla quale è seguita la timida ripresa del 2021, con un +0,8% degli occupati, indipendentemente dal sesso.
È il settore dei servizi – come risulta dal report della Fondazione Leone Moressa sull’elaborazione dei dati Istat relativi al 2021 – a concentrare la forza lavoro femminile, con oltre il 70% di occupate, mentre guardando ai dati regionali, l’attuale 42,2% di occupazione femminile media a livello nazionale, scende a un preoccupante 35,3% in Campania – seguita dalla Sicilia con il 35,8% – mentre arriva addirittura all’incoraggiante 47,3% della Valle d’Aosta, seguita da Toscana (44,9%), Trentino, Umbria (entrambe con il 44,8% di donne con un impiego) ed Emilia Romagna (44,5%).
Il PNRR e la certificazione
A dare uno spiraglio di speranza alla situazione presente, potrebbe essere l’attuazione della certificazione di parità, prevista dalla missione 5 del PNRR, con una copertura finanziaria di 10 milioni di euro. Si tratta, infatti, di uno strumento che permetterà alle aziende che promuovono il lavoro femminile e le pari opportunità di avvalersi di sgravi fiscali. Sono sei i driver necessari a ottenere la certificazione secondo la prassi definita a fine marzo (UNI/Pdr 125:2022) e vanno dal basilare rispetto dei principi costituzionali di parità e uguaglianza all’adozione di misure per garantire la parità reddituale, il pari accesso alle opportunità di carriera e di formazione, nonché l’attuazione del concedo di paternità in linea con le best practice europee, via via fino alla promozione di politiche di welfare a sostegno del “lavoro silenzioso” ,ovvero di chi si occupa della cura della famiglia, e all’applicazione del principio di equità di genere nella normativa nazionale anche per quanto concerne l’accesso a gare di appalto pubblico o per il rilascio di contributi statali.