Gender Gap addio, modello Astra Zeneca per la parità sul lavoro

La filiale italiana della multinazionale del biofarmaceutico è un caso eccellente di superamento del gender gap, sia per quanto riguarda la presenza femminile, sia in relazione agli stipendi. Il segreto? Creare una cultura condivisa, formazione, partnership e gestire il processo come un qualunque altro progetto di trasformazione aziendale

Patrizia-Fabbricatore HR Manager Astra Zeneca Italia

Circa 61 mila dipendenti nel mondo, 21 miliardi di fatturato, alti investimenti in Ricerca e Sviluppo, 7 premi Nobel per la Chimica o la Medicina. Sono i numeri di AstraZeneca, multinazionale anglo-svedese del biofarmaceutico, impegnata nella ricerca, nello sviluppo e nella commercializzazione di farmaci etici (farmaci che possono essere dispensati solo con prescrizione medica).

In Italia, dove opera con una filiale commerciale e oltre 650 dipendenti, si sta distinguendo come un caso eccellente di diversity management. È una realtà dove non c’è gender gap, ma la novità è il modo in cui è stato gestito il processo che ha portato alla parità uomo-donna sul lavoro.

Ne abbiamo parlato con Patrizia Fabbricatore, VP Human Resources & Internal Communication di AstraZeneca Italia.

 

Siete tra le imprese Top Employers e nell’Index delle imprese Gender Equality di Bloomberg: quali sono i risultati che avete ottenuto in termini di riduzione del gender gap?

Gli ottimi risultati ottenuti sono frutto di un percorso lungo e articolato di gestione della Diversity & Inclusion…

 

Da dove siete partiti?

La prima cosa da dire è “perchè” lo abbiamo fatto. Ho sempre creduto nel valore della diversità tanto che AstraZeneca Italia è stata tra le fondatrici di Valore D, per la promozione della leadership al femminile. Inoltre, più di dieci anni fa, abbiamo analizzato diverse ricerche che convergevano su un punto: le aziende con maggiore equilibrio di genere sono più proficue rispetto a imprese poco equilibrate. Abbiamo creduto in questo, aiutati anche dal fatto che il settore farmaceutico è tra quelli a maggiore tasso di inclusione. Tre anni fa la svolta…

 

Cosa è successo?

Ho deciso di procedere con maggiore decisione verso la parità di genere. Avevamo buoni risultati, ma affidando il processo alle sole buone intenzioni non saremmo arrivati all’obiettivo della piena parità. Per questo ho gestito il percorso come un processo di change management, inserendo chiaramente l’obiettivo della parità nella people strategy italiana, e in questo ho avuto il supporto del Gruppo.  Abbiamo individuato con chiarezza gli obiettivi annuali da raggiungere e i driver di cambiamento: abbiamo lavorato sul mindset aziendale, sulle capabilities con una formazione dedicata, su un ambiente di lavoro che facilitasse la crescita delle donne, sulla sponsorship e il networking, facendo partnership all’esterno con associazioni quali Valore D o PWA.

 

Fatto tutto questo…

Il percorso ha dato ottimi risultati. I dati, aggiornati  a questi giorni, sono chiari: in AstraZeneca Italia abbiamo un 48% di popolazione femminile; il 43% dei line manager – che hanno responsabilità di team – sono donne; nel top management siamo il 44% e, per la prima volta quest’anno, le donne dirigenti in AstraZeneca Italia sono il 52%.

 

Parità anche nello stipendio?

Abbiamo fatto analisi anche sul pay gap e i dati che abbiamo, di sostanziale parità, sono estremamente positivi, soprattutto se consideriamo che in Italia le donne dirigenti guadagnano anche il 20% in meno dei colleghi uomini. In AstraZeneca Italia,  a livello di top management, gli uomini guadagnano lo 0,4% in più, che vuol dire piena parità. Per quanto riguarda i dirigenti, e considerando che molti dei neo assunti sono donne, abbiamo ancora un gap del 5% a favore degli uomini. Ritengo che la differenza sia dovuta soprattutto all’anzianità di servizio, visto che il 65% delle assunzioni fatte nel 2018 ha riguardato donne e le promozioni interne sono state date, per il 53%, a donne.

 

Tutto questo avviene per merito?

Assolutamente sì, non abbiamo mai ragionato su quote riservate. Questi risultati sono frutto di una maggiore attenzione al tema della gender equality, non di imposizioni: non ho mai chiesto di assumere una donna, ma non accetto che ci siano rose di candidati senza equilibrio di genere. Lo stesso per le promozioni interne, le rose devono essere bilanciate.

 

A fronte dei successi sulla gender equality, che risultati d’impresa avete ottenuto?

Abbiamo sempre avuto risultati soddisfacenti, sempre in linea con i budget. Ovviamente non saprei dire quanto è merito dell’alta presenza femminile, ma posso dire con certezza che la presenza femminile ha facilitato la collaborazione tra le persone, il lavoro cross-funzionale, rafforzato il senso di appartenenza e migliorato l’ambiente di lavoro.

 

Fronte smart working e politiche di conciliazione, che strumenti avete?

Facciamo molto in questa direzione, ma voglio premettere che non li ho mai considerati come strumenti per le donne, sono utili a tutta la popolazione aziendale. Da più di 2 anni abbiamo eliminato la timbratura per tutti, introdotto l’orario flessibile e lo smart working per un giorno a settimana. Poi abbiamo anche un sistema di welfare aziendale, di wellbeing, di screening preventivi…

 

Quale sarà la prossima sfida?

Lavoreremo sulla speak up culture, per consentire a tutti esprimere le proprie opinioni, sentirsi partecipi e ascoltati. E poi sui pregiudizi inconsapevoli, per rimuoverli e valorizzare pienamente il merito. Una grande sfida che abbiamo davanti, sempre sul fronte diversity, è quella di gestire le ormai cinque generazioni presenti in azienda e garantire la convivenza.

 

Com’è l’ambiente di lavoro in AstraZeneca?
Gli uomini che opinioni hanno?

Facciamo indagini sul clima interno due volte l’anno. Più dell’80% delle nostre persone raccomanderebbe AstraZeneca a un amico come un great place to work. Un risultato che ci rende orgogliosi e ci ripaga del lavoro fatto.

 

I risultati di AstraZeneca si inseriscono in un contesto nazionale in cui permangono ancora forti differenze di genere.
Cosa direbbe ad un imprenditore o a un suo collega dirigente d’impresa sul tema della gender equality?

A un imprenditore consiglierei la lettura delle tante ricerche fatte, da McKinsey a Boston Consulting, su parità di genere e miglioramento delle performance aziendali. Il passo successivo è quello di gestire il processo come un qualunque progetto di trasformazione aziendale: con una visione, con obiettivi chiari, introducendo cambiamenti graduali ma lavorando con costanza e resilienza. Se ne vedranno i vantaggi, non solo in termini di business ma di soddisfazione delle persone.

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