Gen Z e lavoro: mondi troppo distanti

“Generazione Z e lavoro. Vademecum per le imprese e i giovani”, un libro di Paolo Iacci e Francesco Rotondi analizza il rapporto tra i nativi digitali e una legislazione rigida, pensata per modelli di lavoro. Dove intervenire? Quali opportunità per le imprese? Ne abbiamo parlato con l’avvocato Francesco Rotondi.

francesco rotondi

Francesco Rotondi, founder dello studio LabLaw, è l’autore di “Generazione Z e lavoro. Vademecum per le imprese e i giovani”, scritto a quattro mani con Paolo Iacci. Un uomo del diritto e un uomo d’azienda, con la loro chiave di lettura sulla legislazione del lavoro in rapporto ai nativi digitali. Due mondi che, nonostante i fiumi di inchiostro sul lavoro giovanile, sembrano parlarsi poco. I nati dal 1996 in poi (La Generazione Z) sono 9,3 milioni in Italia e 2 miliardi nel mondo. Dove intervenire per favorire l’incontro tra le loro esigenze e una legislazione pensata per i loro padri o nonni?

Avvocato Rotondi, dal punto di vista del lavoro qual è la caratteristica principale della Generazione Z?

Molte ricerche hanno evidenziato che i ragazzi della Generazione Z credono più in sé stessi rispetto ai Millennials e aspirano a diventare imprenditori o comunque autonomi, questo perché sono cresciuti con l’idea che per ottenere qualcosa devono avere fiducia nelle loro potenzialità e lavorare molto. Il problema che unisce tutti i giovani, tuttavia, è l’elevato tasso di disoccupazione. Abbiamo così l’estendersi del fenomeno dei NEET, i giovani che non studiano e non lavorano. La Generazione Z è la più segmentata al suo interno e quella che più di tutte richiede al legislatore un approccio integrato ed estremamente flessibile. I “nativi digitali”, essendo figli di un mondo nuovo costituito per di più da tecnologie neonate e in continuo sviluppo, si stanno formando per lavori che ancora non esistono. Richiedono politiche attive del lavoro per orientarsi in un mercato sempre meno leggibile.

Siete molto critici verso la politica, ma le imprese sono aperte verso la Generazione Z e le esigenze che porta?

I privati e le aziende stanno facendo la loro parte per sostenere i giovani e contrastare, si pensi al fenomeno dei NEET. Rispetto a questo tema, per esempio, LabLaw insieme a Bosch Italia e Manpower Italia ha promosso già da diversi anni il progetto NeetOn che mira alla formazione e l’inserimento di centinaia di NEET. Da tempo si discute di come l’intervento in materia di benessere e assistenza non sia più esclusiva prerogativa statale. Sono sempre più numerose le imprese che forniscono le prestazioni sociali che lo stato non riesce a garantire da solo, è il cosiddetto “secondo welfare”.

Si parla sempre di giovani e lavoro, di incentivi, di scuola\lavoro e di tutti gli altri meccanismi che riportate in calce al libro, eppure sostenete che sono due mondi che non si toccano. Perché?

In realtà qualcosa si è mosso. Mi riferisco all’obbligatorietà dei percorsi di alternanza scuola-lavoro. Misura introdotta per la prima volta dal Governo Renzi e che in questa legislatura è stato parzialmente ridimensionato. Il tema è centrale. La scuola deve insegnare ai ragazzi anche una sana cultura del lavoro, fatta di diritti e doveri, e soprattutto mettere in contatto organico le due realtà. Questa è una prospettiva decisiva per il futuro dei giovani e del Paese sulla quale è necessario investire molto di più, non solo in termini economici ma anche in idee e progettualità.

Dove andrebbe rivisto lo Statuto dei lavoratori?

Il mondo del lavoro è cambiato rispetto a cinquant’anni fa. È giunto il momento per una riformulazione dello Statuto dei Lavoratori, rendendolo dei “lavori”. Questo non significa sminuire la persona, al contrario, ripristinare il lavoro, in tutte le sue nuove declinazioni, al centro del sistema sociale. Significa garantire pari dignità a tutti i lavori, nel rispetto di tutte le peculiarità per il cittadino-lavoratore e l’imprenditore. Le parti sociali si dovranno accordare per fare sistema e dare vita ad una nuova proposta legislativa, con nuove regole che tengano conto delle nuove esigenze che la rivoluzione dell’industria 4.0 porta con sé. A mio parere la nuova proposta di Statuto dovrà prendere in considerazione le evoluzioni delle relazioni industriali che possono aiutarci a comprendere che direzione stia prendendo il mondo del lavoro e dovrà essere: dei lavori, cioè garante di tutte le declinazioni dell’attività lavorativa; attento alle nuove tecnologie e di conseguenza ai nuovi strumenti di controllo; attento al cambio di paradigma della prestazione, da spazio-temporale a performativa.

Ci sono ambiti eccessivamente deregolamentati, al limite dello sfruttamento, e altri iper regolamentati. Come si tiene insieme la gig economy e il lavoro a tempo indeterminato?

La gig economy e il mondo dei lavoretti richiedono una legislazione ad hoc. Appare inutile e anacronistico il semplice e reiterato riferimento ad istituti contrattuali nati in un sistema economico stabile. Le attività dei player della gig economy, anche se non tutte, segnano una netta cesura con l’idea del “lavoro” disegnata nella nostra Costituzione. Non fanno riferimento a quel “lavoro in grado di rendere il cittadino di avere un’esistenza libera e dignitosa” tanto caro ai padri costituenti. La gig economy però ci sta aiutando a cambiare prospettiva poiché alla base di essa vi è una concezione innovativa del lavoro e, più in profondità, una visione del cambiamento della società contemporanea. Rispetto al lavoro subordinato, stiamo iniziando ad orientarci verso un “lavoro ibrido” che, si badi bene, non è un “nuovo contratto”, bensì una modalità di prestazione al di fuori dei locali dell’impresa e dei vincoli di orario tipici del tradizionale contratto di lavoro subordinato.

Come è stato scrivere a quattro mani, un uomo di impresa e un giuslavorista?

Volendo approfondire il tema della Generazione Z abbiamo pensato che dovessimo provare a fare un’operazione inedita e proprio per questo stimolante: abbiamo offerto un duplice punto di vista, uno manageriale e l’altro giuslavoristico. Facciamo due mestieri differenti, anche se in continuo dialogo tra loro, e infatti il libro è idealisticamente suddiviso in due parti. Abbiamo lasciato che i due stili e le due storie si presentassero per come sono in realtà: due punti di vista differenti, ma complementari tra loro.

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