Fuga di cervelli: quanto guadagna un laureato italiano all’estero rispetto ad un collega che decide di rimanere in Italia?
Fuga dei cervelli, il saldo resta negativo. L’8% dei laureati italiani decide di trasferirsi all’esterno dopo la laurea. Il motivo: la retribuzione, nella maggior parte dei casi. Chi parte in media guadagna il 41% in più rispetto a chi resta. L’allarme in uno studio de Il Sole 24 Ore su dati Istat, Almalaurea, Unesco e SVIMEZ.
L’Italia ha perso almeno 79mila laureati in una decina d’anni. Lo rivela l’Istat in un rapporto dal quale si evince che se è vero che dopo la pandemia (nel 2021) sono rimpatriati 75mila italiani, è altrettanto vero che ne sono espatriati 94mila, soprattutto verso l’Europa.
Ma non solo: sotto i 25 anni senza grandi differenze tra maschi e femmine; dopo i 30, invece, sale il numero di uomini che decidono di lasciare l’Italia.
Fuga dei cervelli all’estero
Il Sole 24 Ore ha incrociato questi dati con quelli di Almalaurea, Unesco e SVIMEZ dimostrando che gli italiani che lavorano all’estero guadagnano il 41,8% in più rispetto a chi fa lo stesso lavoro restando nel nostro Paese.
Durante la pandemia, confrontando i numeri del 2021 sul 2020, si evince che il numero di espatriati è calato del 21% e anche il numero dei laureati andati all’estero, ma non si è ridotta la quota di laureati sul totale di giovani espatriati tra i 25 e i 34 anni. Il saldo, quindi, resta negativo.
Le cause? Economiche
Tra le cause non può sfuggire l’aspetto economico: la retribuzione netta media mensile ad un anno dalla laurea si aggira attorno ai 1.384 euro in Italia e ai 1.963 all’estero; a cinque anni dalla laurea sale in Italia a 1.599, ma all’estero a 2.352. I numeri non tengono conto del costo della vita nei singoli Paesi, ma, sicuramente, in Italia i salari non sono cresciuti negli ultimi 30 anni.
Lo studio elaborato da Il Sole 24 Ore mette in luce, inoltre, il fatto che il Nord compensa in parte la perdita di talenti attraendoli dal Sud del Paese che, invece, subisce solo perdite: alla fuga dei cervelli, inoltre, si assiste già dal periodo di studio ed è difficile invertire il trend.
Al Sud la fuga inizia già dall’università
Gaetano Vecchione, economista all’università di Napoli e consigliere scientifico Svimez lancia l’allarme «desertificazione universitaria del Sud». Come riferisce a Il Sole 24 Ore, «Nel 2041 il Mezzogiorno perderà il 27% di iscritti, il Centro-Nord circa il 20%. Non solo – aggiunge – Tra denatalità, bassi tassi di passaggio tra scuola e università e migrazioni nel 2021 il divario tra Centro-Nord e Mezzogiorno ha segnato una differenza di 80mila immatricolati. Negli ultimi 20 anni circa 1,2 milioni di giovani ha lasciato il Mezzogiorno, 1 su 4 è laureato. Nel solo 2020 sono stati 67mila e la quota di laureati è salita al 40%».