Forme retributive, rappresentanza e regolamentazione: l’evoluzione del mercato del lavoro nel post pandemia

Prima la nascita della gig economy poi la pandemia hanno aperto la strada per una riforma decisa del mercato del lavoro. Welfare, retribuzione di performance, scambi di servizi, sono alcuni dei nodi del problema. E ancora: la rappresentanza di interessi nell’era della frammentazione del lavoro e della comunicazione diffusa. Nodi che il legislatore e le parti sociali non possono sciogliere senza costruire un dialogo con il mondo delle imprese, e in particolare con chi si occupa di risorse umane. Ne abbiamo parlato con Gabriele Belsito, Direttore HR Italia-Europa di Autogrill.

gabriele belsito

Gabriele Belsito, una laurea in Giurisprudenza, MBA alla Bocconi e un percorso professionale partito da Alcatel, L’Oreal e Carrefour prima di diventare Direttore HR in Unieuro, Snai e Sirap Group. Attualmente è Direttore Risorse Umane per l’Italia e l’Europa di Autogrill, primo operatore al mondo nei servizi di ristorazione per i viaggiatori, con 8.500 dipendenti in Italia e 50 mila nel mondo. Sarà tra i protagonisti dell’appuntamento Officina Risorse Umane in calendario a Venezia il 23 e il 24 ottobre 2021, una due giorni di serrato confronto per porre le basi di una piattaforma di proposte che assuma la centralità del capitale umano nei radicali processi di cambiamento in atto nel mondo delle imprese e delle organizzazioni.

Dottor Belsito, Autogrill opera nel settore della mobilità che è quello maggiormente colpito dall’impatto della pandemia e delle restrizioni agli spostamenti. Come avete reagito?

«Noi viviamo di mobilità, ristorazione, turismo: un trittico di base complicato da gestire in questo periodo molto complesso. Anche l’ambito risorse umane è stato chiaramente molto complicato dal dover gestire la paura legittima dei nostri colleghi in un momento in cui si aveva paura dell’estraneo. Noi siamo rimasti aperti al pubblico con una gestione difficile, ancora più complessa – se vogliamo – rispetto alla gdo, che è rimasta aperta, perché avevamo anche il problema di una difficoltà di fatturato importante. Naturalmente è stata ed è necessaria una gestione diversificata delle risorse umane rispetto al passato, con spostamenti di persone da un canale all’altro, attivazione di ammortizzatori sociali e tutto il resto. Dall’altro lato la cosa importante è stata la gestione della comunicazione con le persone. Siamo un’azienda diffusa sul territorio, abbiamo cercato di arrivare alle persone continuamente con comunicazioni su tutto sia dal punto di vista della sicurezza sia rispetto a una comunicazione più emotiva di vicinanza a tutte le persone sul territorio. È stata una grande avventura gestionale».

La pandemia ha posto delle sfide epocali anche dal punto di vista della gestione della comunicazione, con migliaia di dipendenti in malattia, isolamento fiduciario, smart working…

«Un po’ tutte le aziende si sono trovate a gestire una complessità nuova senza informazioni e senza esperienze precedenti, perché nessuno di noi aveva dovuto gestire una complessità di questo tipo. Nel gestire i problemi tutti noi affrontiamo le cose magari affidandoci ad esperienze precedenti. Questa è stata una cosa talmente forte che le esperienze ce le siamo fatte mano a mano andando avanti: la sfida è stata prendere decisioni immediate con poche conoscenze, poche esperienze precedenti. Soprattutto per una azienda molto strutturata come la nostra, con una gestione sindacale molto tradizionale, dove le comunicazioni avvengono nella scala gerarchica con area manager e direttore da una parte, sindacati e assemblee dall’altra. Cose che andavano bene in un’altra epoca. Oggi devi cambiare immediatamente, devi dare una serie di informazioni sui protocolli di sicurezza che cambiano a ogni Dpcm, devi comunicare in diretta con le persone a cui abbiamo affidato nuove metodologie e nuove tecnologie. La tecnologia è stata veramente fondamentale, oggi arriviamo a tutti direttamente con una call: è stata una rivoluzione. Possiamo dire che non siamo mai stati così vicini a tutte le nostre persone pur rimanendo a distanza come in questo periodo. Forse abbiamo anche comunicato eccessivamente, ma il rischio di mancare alcuni messaggi era troppo grande».

Vanno ripensati gli strumenti di welfare e di comunicazione con i dipendenti, ma anche di rappresentanza?

«Le cose sono cambiate in maniera repentina. Ci sono esigenze emerse in abito di sicurezza importanti. Noi abbiamo attivato subito ammortizzatori sociali e tutte le precauzioni possibili in ambito sicurezza. Siamo stati i primi ad avere la mascherine: il 15 marzo 2020 le avevamo già tutti, anche in un periodo in cui erano difficili da trovare. Abbiamo fatto delle scelte prima: vedendo com’era la situazione già a gennaio abbiamo tolto dalla vendita tutte le chirurgiche e le abbiamo messe nei magazzini per i nostri dipendenti. È stata una mossa vincente che ci ha permesso di dotare immediatamente di dpi le nostre persone, poi a maggio – quando un po’ è ripartita l’attività –  tutti i nostri punti vendita erano dotati di plexiglass sui banconi, e i dipendenti di visiera sanitaria. Tutte queste cose le abbiamo pianificate per tempo e questo è stato un elemento di successo nei confronti dei nostri clienti, ma anche delle nostre persone perché hanno colto un’attenzione dell’azienda molto forte. Anche i clienti notavano questa differente gestione e quindi la sensazione di sicurezza era percepita. Abbiamo poi attivato un’assicurazione contro il Covid: non è una vera e propria remunerazione, ma un benefit legato al fatto che sei dipendente di un’azienda che si occupa di te. Abbiamo anche dato la possibilità alle nostre persone di fare la spesa nei nostri punti vendita con un forte sconto, in modo che non dovessero fare file ai supermercati».

In un mercato del lavoro ultra frammentato tra ibrido e smartworking ci sarà bisogno di un dialogo con il legislatore?

«Le istituzioni hanno fatto molto, gli ammortizzatori sociali sono stati attivati, al netto del caos di applicazione in un primo momento, dovuto anche al fatto che sono stati attivati strumenti tipici di crisi congiunturali per un periodo lunghissimo… ad esempio per la prima volta sono state attivate 28 settimane di ammortizzatori, che sono tantissime. Per lo meno ci è stato dato un percorso molto lungo. Per quanto riguarda lo smart working noi possiamo utilizzarlo poco, solo per la sede centrale. É chiaro che oggi è legato molto alla legislazione di emergenza. Ci vogliono delle gestioni nuove, una volta che usciremo dall’emergenza ci vorrà più libertà da questo punto di vista. Sul lavoro di ufficio abbiamo scoperto con questa pandemia che molte cose si possono fare in maniera diversa. Certamente non ritorneremo al 2019, ma l’importante non tornare nemmeno al 2020. Dovremo posizionarci nel mezzo».

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